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Ringrazio la collega Barbara Taglioni: ha pubblicato una buona analisi di Oliverio Toscani, nella sua pagina (Grafologhiamo), seppur con un metodo e con un taglio che non mi appartengono (il che, sia chiaro, nulla toglie al valore del lavoro della collega).

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Questa grafia mi ha incuriosito molto, in particolare mi ha interessato quella “V”, poi ne parlerò, ma anticipo: mi sono immediatamente detto ecco perché Toscani è un provocatore!

Ma avevo visto giusto?

Peraltro, la stessa grafologia (ma molto di più la grafica simbolizzata) ci dice che egli da ragazzo fosse un “monellaccio”. Del resto è insofferente alla disciplina (grafologicamente, si osservino le disuguaglianze e il calibro talora grande allungato, per giunta).

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UN UOMO DIVISIVO. UN PROVOCATORE

La sua arte e le sue foto sono diventate “campagne” divisive, che hanno suscitato scandalo e scalpore: ossia manifesto politico, culturale, di controtendenza, ecc.

Che cosa lo spiega, caratteristiche intellettive a parte e che sono note?

Certo aveva bisogno anche di richiamare l’attenzione su di sé per puntellare un sentimento dell’Io insicuro, dubbioso ed anche instabile, con forti cali e con sensi di colpa (Non omogenea del Calibro, ma potrei aggiungere più segni di grafica simbolizzata.

Spiccano in questo senso le “d” e la “V” del nome della firma, oppure altri segni, come la “p” e la “t”, che raccontano di punizioni, di cadute, di sprofondamenti, di rischi per la vita, ecc.. Una di loro racconta di un trauma subito in età giovanile, che spaventò molto). Aveva bisogno di convincersi che era nel giusto, si potrebbe dire.

Spicca la “O” del nome, sempre fermo che è la grafica simbolizzata che parla: racconta di l’impossibilità (nell’auto percezione) di perseguire l’ideale cui aspira.

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L’INTERESSE PER I TEMI UMANI

Ma non solo, quanto sopra non gli rende giustizia: perché alla tumulazione di Predappio, lui quattordicenne, mentre il padre (noto fotografo del Corriere della Sera, famoso anche per la foto dei morti di Piazzale Loreto), giustamente ritraeva le cerimonia, lui, invece, ha scattato la foto di una donna affranta dal dolore (Rachele, la moglie di Mussolini)?

In quel caso, non ha ritratto l’omaggio ad una posizione politica (che è noto che non condivideva), né un documento da consegnare alla cronaca e alla storia (come fece il padre, in quanto era questo il suo “mestiere”), ma ha ritratto il dolore di una donna, di una persona, insomma: c’è voluto coraggio ed una capacità di vedere gli eventi della “miseria umana” che tanti specie a quell’età non avrebbero avuti.

Da dire anche, però, che fu il padre ad intuire le potenzialità “rivoluzionarie” (lo suppongo) di quella foto: infatti, fu lui a volere che fosse pubblicata (sul Giorno).

Ma quella foto è spiegabile?

In quella foto, sono documentati sia la “miseria umana” sia l’anacronistico e non condivisibile omaggio a ciò che la persona interessata aveva rappresentato.

Dunque, ecco il punto: la sua foto è sempre un bianco e un nero, ossia è basata sugli opposti, seppur sia sempre intrisa di umanità e/o di contenuti di interesse politico, sociale, di costume, ecc…

Insomma, lui, insieme a Pasolini, è stato un animatore del dibattito pubblico di questo paese: coloro che appartengono alla mia generazione lo sanno.

E se quella foto avesse voluto anche inconsapevolmente rendere omaggio, risarcendolo, il dolore di un’altra donna, colei che lo generò (che peraltro fu già operaia a sei anni, sembra un’esagerazione, ma è quanto risulta da un intervista dello scrivente)? Potrebbe essere, ne parlerò un poco più avanti.

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Si può anche sostenere, grafologia alla mano, che gioca sulle ambivalenze perché fa diventare sistema ciò che è in lui. E’ lui, infatti, che non sa trovare una sintesi interiore tra opposte istanze, il che lo innervosisce e lo indigna. Di conseguenza necessita di provocare, per risarcirsi e puntellarsi nelle sue opinioni (grafologicamente si pensi a Dritta prevalente, il che significa che vorrebbe essere autonomo ma che non riesca ad esserlo).

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Tutto ciò da una “V”? Ovviamente, no, quella “V” ha costituito la scintilla che ha acceso la mia sensibilità grafologica, ma mi ha anche aiutato conoscere per sommi capi la biografia dello scrivente

Ciò che non sapevo l’ho studiato, per scrivere questo post.

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Dunque, la mia è la curiosità di un ricercatore che indaga anche le biografie per scoprire nuovi segni di grafica simbolizzata (basati sulle iconografie delle lettere). Del resto la stessa grafologia è stata edificata avvalendosi delle biografie dei personaggi e delle persone (e anche del confessionale, ma lo suppongo, nel caso del frate Moretti).

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IL RACCONTO DELLA “V” MANOSCRITTA RIPRODOTTA IN FIGURA

Il racconto è il punto di vista dello scrivente su un fatto che lo ha condizionato: lo studia la grafica simbolizzata.

Quella “V”, allora che cosa racconta (poi si parlerà del significato)? E’ un segno raro, ma ormai lo davo per provato in quanto l’ho scoperto anni fa ed è stato sempre confermato. Da segnalare che sinora l’avevo riscontrato solo nelle donne e quindi questa scrittura ha costituito una grande sorpresa per me (grazie Barbara: se non tu non avessi pubblicato questa grafia…).

Avevo capito che i genitori dello scrivente avevano desiderato un figlio di genere diverso. Sinora è stato sempre confermato che invece di una femminuccia avessero desiderato un maschietto.

IL SIGNIFICATO DELLA “V” MANOSCRITTA RIPRODOTTA

Quanto sopra é il racconto per come l’avevo capito, ma il significato (ossia la conseguenza, per come è possibile dedurla secondo il punto di vista di un osservatore esterno, in questo caso il punto di vista è quello di una persona che ha una formazione grafologica di tipo morettiano), invece. quale è?

Il significato è l’ambivalenza (si provano sentimenti di natura opposta, in questo caso rispetto al proprio genere biologico e la propria funzione esistenziale, con tutto ciò che questo può comportare, sebbene ciò non implichi necessariamente omosessualità (anzi, non mi risultano casi di questo tipo).

Ne derivano sensi di colpa e forte disagio esistenziale. Aggiungo che avrei potuto parlare di ambivalenza anche utilizzando la semeiotica morettiana (Tentennante, momenti di fortissimi Contorta e di Angolosa). Ma questi segni indicano ambivalenze di tipo generico, ossia sono orfane di una causa condizionante, come tutti i segni delle grafologie (scambiano per causa i significati psicologici, ma invece costoro sono conseguenze).

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INVECE, CHE COSA “SOSTIENE” LA BIOGRAFIA NOTA DELLO SCRIVENTE? UN ERRORE PER DIFETTO

Ho indagato la biografia dello scrivente, come dicevo. Supponevo che egli avesse più fratelli di genere maschile: questa circostanza avrebbe spiegato le attese dei genitori che avevo ipotizzato. Ed invece no: è risultato esattamente l’opposto (aveva due sorelle più grandi, rispettivamente di undici e di cinque anni). Allora ho errato nella comprensione della “V” che ho descritto in precedenza?

Sì, ho errato, ma per difetto. Ossia avevo compreso in maniera insufficiente: è lui che è stato indotto a stimare moltissimo le donne e che (verosimilmente, visto ciò che documenterò a seguire) ha voluto rassomigliare in alcuni aspetti ad una di loro, a sua sorella maggiore (nota ed importante fotografa anche lei, insieme al marito. Ha fotografato, anche, il disastro del Polesine).

Infatti egli dichiara che “deve tutto a tre mamme”. Al che gli è stato chiesto (Corriere Milano, online):

In che senso?

«Quella vera, più le mie sorelle maggiori di 11 e 9 anni. Marirosa, la più grande, che oggi non c’è più (è scomparsa a Milano il 4 febbraio 2023, ndr) era eccezionale. Io avevo 5 anni e lei 16: era di una modernità strepitosa, ha fatto cose bellissime nella vita. Le ragazze devono essere libere e la libertà, per me, è quella che ho visto in lei».

Già! E’ possibile che quando egli fosse bimbetto, vista la libertà goduta dalle sue sorelle e soprattutto della maggiore, le abbia “invidiate”. Sono indotto a crederlo, ben consapevole che sto supponendo. Certamente ha influito anche il temperamento dello scrivente (le caratteristiche biotipologiche che logicamente si reputano innate) che, invece, è studiato dalla grafologia morettiana. A questo proposito, ricordo che il suo temperamento esigeva il bisogno della libertà.

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L’ATTO DELLA NASCITA PER COME L’ABBIAMO COMPRESO SINORA

Ma c’è un altro aspetto. La foto, per come la intendeva lui, ne fosse consapevole o meno, generava vita. Non ritraeva, infatti, documenti, ma generava (si presti attenzione a questo verbo) una realtà basata su contraddizioni e provocazioni che invitano ad interrogarsi. Ed ogni risposta costituisce una nascita.

Ma allora come è nato Oliviero? Con tantissima difficoltà, sia per lui nascituro sia per la madre: ce lo dicono le due “f”. Da segnalare che la madre non ha potuto spingere (ne siamo sicuri) e che lui dovrebbe aver patito molto nell’atto dell’estrazione (più della norma, insomma): è possibile che fosse troppo grosso (oppure troppo piccolo, non si sa distinguere).

Per l’appunto, le analisi grafologiche dovrebbero iniziare dall’atto della nascita dello scrivente, a mio parere. Verrà il momento in cui si consolideranno gli studi della grafica simbolizzata sulla lettera “f”: abbiamo capito molto, ma non tutto ovviamente.

La domanda è: come ha influito un atto della nascita di questo tipo, nel quale una figura mamma non ha potuto spingere? Lo scrivente non si è avvertito voluto e desiderato? Sarei tentato di rispondere in maniera affermativa, ma sarebbe un’esagerazione, allo stato attuale della ricerca. Tuttavia sinora ho sempre avuto conferme e aggiungo che il segno non è raro.

Ma come sarebbe possibile spiegare, all’inverso, la tendenza a Non omogenea del Calibro?

Ma forse quella “V” si spiega anche con il senso di colpa che ha provato nei confronti della propria madre, visto il modo in cui lui sarebbe nato? Suppongo di sì, consapevole di supporre.

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DUE IPOTESI DI SEGNI DI GRAFICA SIMBOLIZZATA NON ANCORA COLLAUDATE A SUFFICIENZA

Ometto per brevità altri segni di grafica simbolizzata che potrebbero integrare ed orientare l’analisi grafologica di personalità (che ometto), tranne due, perché desidererei approfondirle (mi auguro che qualche lettore interessato dalle lettere che seguono, mi possa aiutare, contattandomi, anche in forma privata):

1) La tendenza alla “a” tipografica, ossia script (vedi ellisse). Un conto è la “a” script nel contesto di uno scritto redatto con lo stampatello minuscolo, un conto, invece, è una “a” di questo tipo nel contesto di un testo redatto in corsivo e addirittura in una firma. Il segno è rarissimo: le volte che l’ho riscontrato l’Ipotesi che ho formulato è stata confermata. Dovrebbe essere coinvolto il rapporto con il decesso della mamma;

2) Il convolvolo inglobato nell’ovale peraltro aperto ad ore dodici (vedi freccia rossa). Questa “o”, rara anch’essa, se avessi visto giusto spiegherebbe tantissimo, anche la “V” iniziale.

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In ultimo, debbo dire che tutto sarebbe stato più semplice (ai fini della ricerca e della stessa analisi) se avessi potuto avvalermi delle lettere dello stampatello e, in questo caso, soprattutto delle lettere dei numeri: già collega grafologo, non potresti ignorarli! Pagherei per divulgare, prima che “diventi tardi”, vabbè …

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Grazie.

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Autore G. Angeloni – copyright – tutti i diritti riservati ©