



Mi si consenta una provocazione.
Le quattro “l” della figura sono state scritte dalla stessa persona? Chi sarebbe abilitato a rispondere, se si ragionasse in astratto? Sarebbe abilitato a rispondere colui che sa leggere, ma solo chi studia la scrittura lo sa fare. Infatti, coloro che stanno consultando questo post, tranne alcuni associati all’AIDAS-DGS, non sanno leggere.
Lo strumento dell’osservazione è il leggere
I due metodi principali della perizia grafica (1) a base grafologica; 2) grafonomico) funzionano e si avvalorano a vicenda: non si può contestare ed ogni novità che eventualmente si volesse introdurre deve essere coerente con tali metodi.
Tuttavia già parlare di metodi è un anacronismo, in quanto se proprio si volesse parlare di metodo, allora si dovrebbe parlare di “metodo scientifico” e tale metodo – senza scomodare Galilei – è un applicativo specifico di una disciplina scientifica. Entrambi i metodi detti, tuttavia, non hanno una disciplina di riferimento, in quanto non studiano il loro oggetto.
E l’oggetto, a sua volta, si legge, in quanto sono coinvolte lettere. L’errore metodologico dei due metodi (attenzione, attualmente li applico anche io, quindi nessuno si offenda) è che non sono basati sulla lettura, ma sulla osservazione di gesti grafici.
Mi spiego con un esempio: il collega non avrebbe alcuna difficoltà a sostenere che le “l” n. 3 e n. 4 sono state scritte da una stessa persona, in quanto hanno in comune quel “gesto fuggitivo” evidenziato dalle spezzate blu. Tuttavia non saprebbe definire quel gesto, se non genericamente in questo modo: “slanciato, obliquo verso l’alto, molto lungo e che si affina progressivamente”. Il tutto lo si dà per coattivo, individualizzante e assolutamente inimitabile. Ma nessuno ha dimostrato che il complesso detto sia inimitabile ed anzi potrebbe essere imitato (i Diari di Mussolini ci dimostrano che potrebbe essere possibile), in quanto il gesto è stato definito in maniera insufficiente, perché non è stato letto.
Che cosa è il leggere?
Leggere è dare un nome ad ogni millimetro della manoscrittura. All’inverso, se non si sa dare un nome ad ogni millimetro non si può escludere la superficialità, tanto più che spesso ciò che non ha un nome passa inosservato.
Da segnalare, che sia l’imitatore sia il perito grafico non sanno dare un nome.. il che invita a riflettere.
COME SI CHIAMA IL TRATTO DI FIGG. 3 E 4 EVIDENZIATO?

Come si chiama quel gesto? Intanto, è il termine “gesto“ che non funziona, in quanto non si sta osservando un movimento, ma un tratto grafico, ossia uno scritto (un qualche cosa che fu scritto – e non tracciato – quando noi non c’eravamo), assolutamente immobile. Allora come si chiamano quelle porzioni delle “l”, che ho evidenziato con le spezzate?
La grafica simbolizzata li chiama il riccio del congedo (o di uscita) del concavo basale (nella lettera del modello per il concavo osserva la freccia blu, per il congedo osserva la manina). Ci si accorge, allora, che non si può dare un nome ad un tratto manoscritto se non avvalendosi di un modello di riferimento. Si sta parlando di manoscrittura, di conseguenza il modello di riferimento è la lettera “l” che tutti abbiamo appreso.
IL RICCIO DEL CONGEDO DI FIGG. 3 E 4
Che tipo di riccio di congedo è quello in osservazione? E’ un riccio indebito (non è contemplato dal modello), ma si necessita di nominarlo lo stesso. La grafica simbolizzata lo chiama “riccio del congedo, triangolato a decrescere” (si affina progressivamente come nell’esempio a), gli si oppone il tratto detto claviforme, nel quale invece il triangolo si accresce progressivamente, come nell’esempio b).
A questo tratto – erroneamente – la grafologia associa impulsività, il che ha una ricaduta importante nella perizia (l’impulsività vuole l’accelerazione del moto) ma detta caratteristica psicologica e temperamentale esige che il tratto abbia anche un’altra caratteristica, che preciso a seguire.
Leggere il tratto

Entrambi i metodi già citati – giustamente – assegnano grande importanza alla velocità grafica e al moto in generale. Tuttavia, come detto, la manoscrittura non si muove ed anzi se si muovesse non potrebbe essere letta. C’è un modo, però, di desumere la velocità relativa (che ebbe la mano) dalla lettura del tratto: ce lo insegnano coloro che eseguono la perizia sugli incidenti stradali, quando osservano una “scritta” sull’asfalto”, chiamata traccia del penumatico: si tratta di un’intuizione decisiva, che rende oggettivo (coerente con l’oggetto, il quale è un immobile) ed obiettivo (chiunque può convenire) la valutazione della celerità del moto.
Il tratto manoscritto va letto nel suo spessore, nel suo colore e/o nell’inchiostrazione e nella sua nettezza dei bordi. Per l’appunto, noi sappiamo che i due ricci triangolati delle figg. 3 e 4 furono vergati in maniera molto celere ed impulsiva in quanto i bordi dei tratti sono netti.
Sappiamo anche che nelle due “l”, precisamente nel concavo basale delle stesse (vedi ingrandimenti), tale riccio è preceduto da un freno, testimoniato dal fatto che in quel punto lo spessore del tratto e l’inchiostrazione si accrescono.
Naturalmente, il tutto si proverà con sperimentazioni, avvalendosi di specifici software (tra qualche giorno verrà costituito un gruppo di ricerca specifica, chi fosse interessato può farsi sentire)…
EPPURE TUTTE LE “L” SONO STATE SCRITTE DA UNA SOLA PERSONA. ALLORA COME LA METTIAMO?
Un errore tipico consiste nel giudizio relativo alla spontaneità. Tutti i colleghi (compreso me, sino a qualche tempo fa) è pronto a scommettere che le due “l” di figg.3 e 4 sono spontanee, in quanto redatte velocemente. In realtà, la fig. 3 non è e non può essere spontanea, ma la dimostrazione sarebbe dispendiosa (mi si creda sulla parola, visto che tutte le “l” mi appartengono).
La “l” di fig. 1 è stata scritta nel 2003, le “l” di figg. 2 e 3 sono state scritte nello stesso giorno, nell’ambito di un medesimo esperimento, due mesi fa. La “l” di fig. 4, invece, è stata scritta oggi.
Cosa hanno in comune queste quattro “l”, in un contesto in cui, peraltro, ben tre sono state scritte con intenti dissimulativi (ossia sono artificiose)? Eppure debbono necessariamente condividere qualche cosa, altrimenti verrebbe meno un presupposto fondativo della perizia grafica.
Hanno in comune più cose, ma sarebbe lungo precisare, ma qui mi interessava provocare ulteriormente: hanno in comune due tipiche anomalie del tratto, che nessuno sa leggere (una l’ho indicato con le frecce rosse), che raccontano due ferite specifiche, una nella nuca, un’altra vicino all’occhio.
Limiti attuali e potenzialità della ricerca
Sono sicuro delle due ferite? Sì, soprattutto di quella vicino all’occhio: ormai ho scoperto questo segno da un decennio e l’ho sperimentato molte volte, con successo. Tuttavia non sono stati provati e lo debbo dire.
Ed allora? Intanto, sono due indici non imitabili e non dissimulabili che chiunque saprebbe leggere, basta farglieli vedere. In altre parole, sono due indici di natura oggettiva (appartengono all’oggetto) ed obiettiva, dunque non contestabili. Semmai il discorso si sposta sul tema se siano risolutivi o meno. Ovviamente, ad oggi non sono risolutivi.
Ma il vero tema è un altro: la perizia grafica ha bisogno di una scienza di riferimento e delle scoperte di questa scienza. L’AIDAS-DGS è nata per questo: per studiare la scrittura e la manoscrittura, per codificare le iconografie della scrittura e della manoscrittura (senza tale codifica non sarebbe possibile il leggere), per scoprire le ferite del corpo e dell’anima, ecc.. ecc…
Di Guido Angeloni, autore della grafica simbolizzata (©), socio fondatore e direttore scientifico* dell’AIDAS-DGS (presidente A.Vigliotti, medico, psicoterapeuta, grafologo)
*(Per la parte attinente alla grafica simbolizzata).