Come si progredisce e si prova nella perizia grafica? Domande, provocazioni…
Di Guido Angeloni, autore della grafica simbolizzata (©), socio fondatore e direttore scientifico* dell’AIDAS-DGS (presidente A.Vigliotti, medico, psicoterapeuta, grafologo)
*(Per la parte attinente alla grafica simbolizzata).
PREMESSA
In una rivista specializzata, in un saggio di M.Castaldi e di G.Santorelli (Attualità grafologica n.131) si legge che si avverte:
a) “L’esigenza di un protocollo nell’indagine grafica forense” (notare che si parla di “indagine grafica” e non di “indagine grafologica”);
b) “…l’esigenza di adottare un protocollo comune di indagine soprattutto in quelle “discipline deboli”, in quanto condizionate dalla valutazione estimativa”.
Nel medesimo articolo si legge anche che si avverte:
c) “…la necessità di adottare una terminologia comune al fine di rendere comprensibile e condivisibile l’accertamento …. indipendentemente dalla semeiotica dei vari metodi grafologici”. Si precisa anche che: “Quando si parla di una terminologia comune, si intende la descrizione oggettiva del fenomeno rilevato, il cui significato sia di immediata comprensione del lettore”.
L’articolo citato detta alcune linee guida dell’indagine peritale che sono condivisibili, ma su altro piano, se ragionassi come grafologo, si presterebbe a più riflessioni critiche, che qui si omettono.
LA DOMANDA FONDAMENTALE CHE È ELUSA
Ciò che sfugge in queste riflessioni (sul versante grafonomico, si potrebbero citare anche G.Ferrari e V.Matranga) è che, premesso che l’accertamento peritale richiede molte competenze di natura interdisciplinare e che ha proprie specifiche esigenze, è assente una domanda fondamentale: qual è la scienza di riferimento della cosiddetta “indagine grafica forense”?
Se si parlasse, ad esempio, di “indagine grafologica forense”, quantunque il termine forense non mi piace, allora si potrebbe dire che la disciplina di riferimento sia la grafologia (o, meglio, le grafologie). E da questo punto di vista, mi dispiace molto che non sia più citato B. Vettorazzo e l’ottima sintesi dei contributi grafologici (e non solo, peraltro) che ne dà nei suoi due libri, editi da Giuffrè Editore, in “Teoria e pratica del diritto”.
COME SI ELIDE L’ESTIMATIVO NELLA PERIZIA?
Il secondo elemento di debolezza dell’articolo detto è che si dà per scontato che la cosiddetta “indagine grafica forense” rientri nelle “discipline deboli”, in quanto condizionate dalla valutazione estimativa”. Con ciò gli autori non si rendono conto di una palese contraddizione: se si pone la disciplina come “debole”, in quanto “condizionata dalla valutazione estimativa” (ossia, in quanto è dipendente dall’occhio di chi osserva il prodotto grafico”, allora come si potrebbe effettuare “la descrizione oggettiva del fenomeno rilevato”? Non si può, è ovvio. In questo contesto, le valutazioni “obiettive” sarebbero funzione dell’occhio di chi osserva: non lo si può contestare, con l’aggravante che sarebbero avvalorate persino dalle “linee guida” sopra dette, anche quando sono errate.
Le linee guida, a ben vedere, vogliono eliminare la superficialità, ma la vera questione è: chi ci garantisce che un’osservazione accurata sia di per sé corretta?
Ma la vera domanda è questa, ed è una paradossale: chi ci assicura che una osservazione scrupolosa non sia anche superficiale?
PROVOCAZIONI
Ad esempio, si provi a descrivere la “l” della parola “coplero” (è una non parola, utilizzata come test dalla grafica simbolizzata) e si vedrà che ci si troverà in difficoltà. Se chiedessimo a dieci specialisti di descrivere quella “l”, ci si può scommettere”, avremmo dieci descrizioni diverse.
Ma mica è finita qui: adesso, provate a descrivere quella lettera ad un’altra persona, di modo che la stessa possa riprodurla, disegnandola, in cieco (ossia senza vederla). Non ne sareste capaci: né l’emittente, ciò voi che qui rappresentate l’esperto nell’”indagine grafica forense”, né il ricevente, che nella nostra metafora dovrebbe costituire un altro esperto dello stesso settore.
Né l’emittente e né il ricevente, dunque, saprebbero dialogare: segno che non esiste una comunità scientifica. Segno che gli “esperti” (tra i quali ci sono anche io, ovviamente) non sanno o meglio non possono dialogare tra loro, nel modo che si vorrebbe: escludere tutto ciò che appartiene all’estimativo.
L’altro aspetto che è palesemente impossibile, in questo cotesto, è il dimostrare e il provare che l’osservazione del prodotto grafico dell’esperto non sia stata superficiale.
L’AMBITO DELLA VARIABILITÀ
Un altro passo avanti si può fare ponendosi questa domanda: come si fa ad escludere che la stringa “lo”, della fig.2, non sia un’imitazione della grafia n.1? Lo si potrebbe spiegare osservando che sia in fig.1 e sia in fig.2 esiste un tipico contrassegno (vedi frecce), dovuto all’inclinazione anomala della penna (quei tratti parassiti inchiostrati, evidenziati dalle frecce, sono rilasciati dal bordo della sferetta) e ad una biro non di pregio, ma la dimostrazione non sarebbe pertinente. Come si spiegano le differenze nelle “l” (e quali sarebbero, poi?)? Come si spiega il mancato collegamento con la lettera successiva, nel primo caso, contrapposto al collegamento del secondo caso?
Ed infine: osservate con attenzione la “o” di fig.2, e chiedetevi: perché ha una fisionomia che di norma la si riscontra nelle imitazioni? Già, ma quale fisionomia avrebbe quella “o” e quale fisionomia di norma ha l’imitazione pedissequa? Provate a descrivere quella “o” e vi accorgerete che…
Ci si accorge allora che le cosiddette “scienze grafiche forensi” (ed anche la mia amata grafologia, purtroppo) non hanno una teoria che spieghi l’ambito di variabilità (le due “l” e le due “o” a confronto hanno molti elementi di diversità), ma perché? Perché non studiano le scritture e di conseguenza non studiano nemmeno il metodo comparativo (l’ambito di variabilità è un finito, ossia non è imprevedibile ed imperscrutabile, ma l’ambito individuale lo si comprende solo se si sanno effettuare le comparazioni tra le “varianti” di una lettera, secondo una precisa procedura, appartenente al metodo comparativo della grafica simbolizzata). In effetti, il vero nodo è costituito dalla domanda: come si effettuano le comparazioni?, ma per ora lo debbo trascurare.
Che poi, come ho premesso in articoli precedenti, le perizie grafiche di norma siano corrette, errore umano a parte, lo do per scontato, ma la questione che non pongo (solo) io, ma che è posta da altri (vedi gli autori dell’articolo citato), la si potrebbe riassumere in questo modo: come si prova nella perizia grafica? Allora ci si accorge che, tranne i casi palesi (che non sono infrequenti), è praticamente impossibile provare, in quanto si assisterà sempre alla parola di un esperto, contrapposta alla parola di un altro esperto.
UN POSSIBILE AMPLIAMENTO DELLO “SCOPO” (L’AMBITO APPLICATIVO) DELLA PERIZIA SU SCRITTURA. COSA È INIMITABILE E COSA È INSOPPRIMIBILE?
Ma si potrebbe affrontare la questione in un altro modo, ponendosi la domanda: ma perché la “l” è fatta in quel modo lì, obiettivamente insolito? Il grafologo morettiano, si guardi dal rispondere: perché lo scrivente è diffidente ed ha chiusure repulsive (per aste concave a sinistra). Ma la diffidenza repulsiva (che c’è) è conseguenza e non è di alcuno interesse né per lo scrivente (è colui del quale ci importa di più, per lo meno se abbiamo una sensibilità grafologica, ma è la stessa sensibilità della grafica simbolizzata), né per la giustizia, se solo si ampliasse l’oggetto della “perizia su scrittura”, cosa che potrebbe essere alla portata.
Quelle “l”, infatti, indicano un preciso trauma, subito in età precocissima e confermato dalla scrivente.
Fa la differenza o meno sapere che ogni lettera, ogni particolare di una lettera, ogni millimetro della stessa, è frutto di eventi condizionanti? Dovrebbe fare la differenza, a prescindere dal metodo che si adotta: in quanto, ecco il punto, questi micro gesti costituiscono i contrassegni inimitabili ed insopprimibili. Già: inimitabili ed insopprimibili!
Lo si è provato quanto sopra? No, ancora no, ma lo si proverà. Per l’immediato segnalo solo che si hanno più conferme, il che autorizza.
A PROPOSITO DELLA TANTO AUSPICATA “TERMINOLOGIA COMUNE”
Dunque, una prima conclusione che se ne ricava qual è? E questa: la tanto auspicata “terminologia comune” è un’utopia, ferme le premesse.
Intanto, quale è la terminologia che accomuna tutti coloro, per apportare un esempio, che effettuano perizie nel campo medico legale? E’ la medicina. Lo stesso dicasi per coloro che effettuano le analisi peritali nel campo del DNA: il linguaggio comune è la biologia.
Dunque, come si può avere un linguaggio comune nella perizia grafica se non si ha, nel contempo, una disciplina di riferimento?
L’OGGETTO E LA SEMEIOTICA SPECIFICA DELLA PERIZIA SU SCRITTURA
Ecco, per l’appunto, la domanda ineludibile è: quale è l’’oggetto della perizia su scritture (da non confondere con lo scopo)? E’ la scrittura, non lo si può contestare. Come si studia la scrittura? Ma cosa è la scrittura? Ce lo insegna la paleografia: la scrittura è, quello che comunemente è definito, il modello calligrafico. La grafica simbolizzata precisa: è la lettera del modello detto, quella appresa da tutti sui banchi di scuola.
La grafica simbolizzata, per l’appunto, studia la scrittura e la manoscrittura.
E la scoperta è: non si può descrivere in maniera univoca e non superficiale la manoscrittura, che è un’infinita, se non si ha un modello di riferimento avente un carattere “finito”, costituito dalla lettera appresa da tutti, sui banchi di scuola. In effetti, tutte le discipline che si occupano della perizia hanno un lessico, basato sul confronto per opposizione con un modello ideale standardizzato di riferimento, condiviso,. Non lo si può contestare.
Insomma, ci si accorge anche che la perizia su scrittura necessita di una semeiotica specifica: comunico che già esiste.
Grazie
Segue…