La persistenza del “riccio del saluto” della “o” e la pandemia: ci potrebbe essere un nesso? Ipotesi per uno studio, prime riflessioni… (II post)
Di Guido Angeloni, autore della grafica simbolizzata (©), socio fondatore e direttore scientifico* dell’AIDAS-DGS (presidente A.Vigliotti, medico, psicoterapeuta, grafologo)
*(Per la parte attinente alla grafica simbolizzata)
IL RICCIO DELLA “O” SCRITTA (OSSIA DEL MODELLO) E MANOSCRITTA
Prima di proseguire, forse è opportuno precisare meglio: per RICCIO DELLA “O” della lettera del modello la grafica simbolizzata intende il solo RICCIO DEL SALUTO, che è del tipo accostato all’ellisse. Del resto per quanto risulta la didattica impartisce l’insegnamento del solo modello di fig.1a (o meglio, probabilmente, della versione della fig.12, e non quello di fig.2.
PER RICCIO DELLA “O” MANOSCRITTA, invece, si intendono tutti i ricci che corredano la “o” manoscritta, ivi compresi quelli impropri in quanto diversi dal modello di tipo accostato, visto nella fig. 1a (o in fig.12).
Per quanto detto in precedenza, si deduce la seguente “regola”: NELLA GRAFIA ADULTA LA “O” MANOSCRITTA DOVREBBE ESSERE PRIVA DI RICCI.


IL CONVOLVOLO DELLA “RIMOZIONE”
Da quanto argomentato in precedenza si desume che la proposta iconografica della fig. 2 è chiaramente da non desiderare: peraltro, non mi risulta che sia adottata dalla didattica, tanto è vero che gli esempi delle figg. 8 e 9, appartenenti al campione dei bambini delle medie inferiori, è un’elaborazione del ragazzo che lo ha eseguito. A ribadire la disarmonia, nell’esempio della fig. 8, sono ben visibili la stentatezza delle due “o” e la non chiusura dell’ovale della “g”.
C’è anche da aggiungere che il riccio che rientra nella “o” (vedi l’arco delle figg. 2 e 9) è disarmonico per tante ragioni che si è costretti ad omettere, ma anche perché crea un occhiello (vedi le frecce blu nelle figg.2, 8 e 9) che la grafica simbolizzata chiama CONVOLVOLO DELLA “RIMOZIONE”.
Vi corrisponde il bisogno di rimuovere in maniera subitanea e nervosa un ricordo di un evento appartenente al passato e che ingenera dolore. Come precisato nel post precedente, i bambini del campione che immettono il convolvolo sono relativamente numerosi (5% nelle elementari e 9% nelle medie inferiori).

IL RACCONTO DI GENESI DEL RICCIO DEL SALUTO
In realtà la proposta iconografica prevalente del riccio della “o” è quella di fig. 12, nella quale il riccio è “grazioso”, sobrio, o meglio è proporzionato, non è obliquo verso l’alto ed è concavo: se ne hanno due esempi nella fig. 10.
Da dire che è nettamente da preferire questa seconda proposta iconografica, in quanto di quella di fig. 1° non è desiderabile soprattutto l’inclinazione che tende un po’ troppo verso l’alto diagonale (osserva nel particolare l’andamento delle frecce). Tuttavia nel campione delle manoscritture che si stanno studiando, i ricci, nella grande maggioranza di loro, sono del tipo inclinato verso l’alto. Di conseguenza, in questi post ho scelto di parlare e di studiare soprattutto della proposta della fig. 1a.

Ci si deve chiedere: COSA PUÒ EVOCARE NEL SENTIRE DI UN BIMBETTO IL RICCIO DI FIG.1A?

Va considerato che il riccio non appartiene all’ovale, in quanto è un ente accostato allo stesso e che di per sé sarebbe destinato ad elidersi con il tempo. Se si suppone che l’ovale rappresenti simbolicamente il bambino (il che è consentito, in quanto sul piano simbolico l’ovale è il sentimento dell’Io rispetto ad ogni luogo simbolico), quel riccio a destra e sollevato dal rido del suolo (il rigo di base), nella genesi (nel racconto infantile), non può essere altro che la mano di papà, come nella fig. 1c.
Da precisare che negli ultimi giorni ho sottoposto a verifica critica l’ipotesi della “mano di papà”: le conferme sono state numerose e tali che verosimilmente siamo autorizzati a parlare di scoperta.
CONDIZIONAMENTI
Nella manoscrittura la PORTATA DEL RICCIO VA VALUTATA INSIEME AGLI ALTRI ACCOSTAMENTI (le lettere che li prevedono sono tanti): la sensazione di dolorosa solitudine provata dal bimbo morto nel 1944 per sua mano e a nove anni è testimoniata anche da tutti i fallimenti negli accostamenti.
Una mano di papà che sostiene, guida e che incoraggia nel cammino, dunque.
In altre parole, quel riccio indica che il BIMBO NON È SOLO E CHE È SORRETTO, È INCORAGGIATO ED È GUIDATO: ecco il condizionamento adattivo.
A tale proposito nella fig.11a le “a” (il mancato accostamento tra l’ovale e l’astina indica la sensazione che mamma era avvertita distante – attenzione, non si conoscono le ragioni di mamma), la “p” (il mancato accostamento tra l’asta e il completamento, che peraltro è eseguito a pancia, invece che ad arco, indica che il bimbo subì la sottrazione del suo balocco preferito – l’arco della “p” è evidenziato nella fig.11b), ma si potrebbe proseguire, in quanto, nell’età considerata, ogni distacco è indice di sensazione di solitudine e di mancato sostegno.

Da segnalare, sempre a proposito del ragazzo di nove anni, che in tutte le “o” osservate (ho potuto consultare numerose pagine di due quaderni) il riccio del saluto è sempre assente, tranne in un caso, nella parola “frutto” (cfr. fig.11c). In quella parola, il “riccetto” molto timido e stentato (si osservi anche l’ellisse poligonata, che riconferma la sofferenza) è un grido di dolore di un bimbo che avrebbe avuto bisogno di una mano di sostegno e di incoraggiamento e che invece si avverte solo (si ricorda che il padre era al fronte).

LA TRASMIGRAZIONE ADATTIVA DEL RACCONTO DI GENESI
Con l’entrata nella scuola, di per sé, il riccio può anche indicare l’alzata di mano quando si risponde all’appello del maestro, oppure, in altri contesti, può rappresentare un giuramento, un dichiararsi pronto ad accettare un incarico e cose similari.
Tutto sopra in sé e per sé, ma nel contesto di una parola manoscritta che cosa può indicare la trasmigrazione del racconto di genesi?
Il riccio può essere presente:
- Nella “o” congiunzione (fig. 10, tratta da Indire, di epoca fascista);
- Nella “o” di fine parola.
La “o” (da segnalare che nella grafologia morettiana è il luogo principale del Largo di lettere) è la lettera che “avverte il bisogno” della presa di coscienza (si potrebbe dimostrare che è un altro modo di dire “sentimento dell’Io rispetto al tutto”, il che lo si ha soprattutto nella “o” congiunzione): questo è il primo dato. A propria volta, il bisogno della presa di coscienza è un corredo indispensabile del senso della responsabilità.
In secondo luogo, il grafologo Moretti insegna che il riccio introduce nel campo di coscienza un elemento emotivo improprio, che altera e che indebolisce la presa di coscienza detta. In ultimo, si deve tenere conto del fatto che la lettera “o” di fine parola costituisce, di per sé, un bisogno di presa di coscienza critica rispetto all’azione appena conclusa (rappresentata dalla parola), per il senso della responsabilità detto.
Nell’età evolutiva, dunque, il riccio esprime la sensazione che si deve rendere conto delle proprie azioni alle autorità simboliche di papà e del maestro e questa esigenza, a propria volta, rafforza il senso della responsabilità che appartiene all’ovale: sono coinvolte le aspirazioni, l’immaginazione e le emozioni.
Insomma, il “bisogno della mano di papà” che in origine guidava, sosteneva ed incoraggiava il bimbetto è destinato a trasmigrare nel bisogno di essere approvati, e dunque sostenuti, dalle figure autorità “papà” e “maestro”, per essere sicuri di essere nel giusto.
Progressivamente, se tutte le esperienze evolutive sono andate a buon esito, il tutto trasmigra ancora: si acquisiscono il senso di sicurezza e le facoltà riflessive e critiche che rendono superfluo il riccio, in quanto lo scrivente è finalmente diventato autonomo ed è capace di procedere con le proprie gambe, promuovendo se stesso e l’ambiente.
All’inverso, la presenza del riccio del saluto e del riccio della “o” finale di parola in genere è un segno che indica uno stato dipendenza con il passato, che ovviamente indebolisce l’autonomia.
TRASMIGRAZIONI NELLA MANOSCRITTURA
Dunque, nel modello infantile, la “o” manoscritta corsiva (non quella dello stampatello) vuole un riccio del saluto e, all’opposto, se nell’età delle elementari il riccio di cui sopra non fosse presente si ha una disarmonia. Quindi l’elisione del riccio in età precoce è da considerarsi negativamente, ma è negativa anche la persistenza di detto riccio dopo una certa età.

Sono negative anche le TRASMIGRAZIONI NEL RICCIO INCORPORATO, il quale è studiato dalla grafologia morettiana nei seguenti ricci:
1) Riccio della mitomania, quando il riccio è di tipo incorporato e diagonale (fig. 14, appartenente ad un adulto);
2) Riccio del titubante (III elemento costitutivo del segno), quando il riccio è timido, fermo che è sempre del tipo incorporato (vedi anche il punto 4);

3) Riccio del soggettivismo, quando è incorporato, è teso e procede in linea orizzontale. Nel campione questo riccio non è mai teso, perché quando è presente è insicuro e tremulo, come nel caso della fig.15;
4) Riccio della stentatezza, il quale è il II costitutivo di Accartocciata, e consiste in un gesto che ha un gancio che torna, almeno tendenzialmente, a sinistra (se non fosse del tipo accostato, vi comparteciperebbe il riccio della fig.11c, il quale però apparterrebbe anche al Titubante, ossia alla fattispecie n.2).

Da dire che la grafologia non precisa che i ricci di cui sopra debbono essere incorporati, cosicché, ad esempio, il riccio diagonale accostato della fig.16 lo attribuisce a Riccio della mitomania, mentre nella nostra concezione quel riccio – è vero – compartecipa della mitomania (il pensiero e l’immaginazione sono influenzati dalla lettura fantastica della realtà), ma HA UNA GENESI DIVERSA DA QUELLA CHE GENERA IL RICCIO DELLA MITOMANIA, ma come detto se ne parlerà nel prossimo conclusivo post.
QUANDO DOVREBBE ELIDERSI IL RICCIO?
Ma quale è l’età entro la quale dovrebbe elidersi il riccio della “o”? Sembrerebbe assodato che nelle grafie dei bambini delle elementari il riccio dovrebbe essere presente nella quasi totalità delle stesse (infatti, ricordo che su 314 bambini solo due non immettono nella “o” il riccio in oggetto), ma rispetto ai bambini delle classi medie?
Da questo punto di vista si lamenta l’assenza di ricerche precedenti, ma nel nostro campione emergono i seguenti dati:
a) Nelle manoscritture dei bambini della I media il riccio della “o” è presente nel 94% dei casi (dei quali solo il 15% è del tipo incorporato, il restante appartiene al riccio del saluto, ossia contempla il riccio accostato);
b) Nelle manoscritture dei bambini della II media il riccio della “o” è presente nel 84% dei casi (dei quali solo il 7,6% è del tipo incorporato);
c) Nelle manoscritture dei bambini della III media il riccio della “o” è presente nel 87,69% dei casi (dei quali il 10% è del tipo incorporato).
Indubbiamente le percentuali relative alla II e alla III media sembrano molte elevate, possono giustificarsi sulla base del situazione pandemica che stiamo vivendo (sto distinguendo tra le restrizioni dovute al lock down e, il timore del virus)?
Sì, a mio parere la paura del virus (un qualcosa che è invisibile, e dunque che non si sa se sia presente o meno, pur fermo che incuta ansietà), potrebbe esprimersi con i ricci del saluto diagonali, ma del tipo stentato e/o distanziato.

Per una prima definizione del riccio distanziato si osservi nella fig.17 lo spazio bianco (sta per vuoto) che si ha dopo l’ellisse e prima del riccio.
Segue nel prossimo e conclusivo post. Grazie.