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Riccio della fuga per sottrarsi alla vergogna

La manoscrittura, secondo Repubblica online, appartiene a Teodosio Losito https://it.m.wikipedia.org/wiki/Teodosio_Losito, morto suicida l’8 gennaio 2019. Si tratta di una lettera, dal contenuto molto angosciato, scritta per il suo compagno qualche giorno prima dei fatti, così come si legge: 

“In quei fogli ci sono le toccanti parole che lo sceneggiatore e amministratore della Ares Film, morto l’8 gennaio del 2019, scrive al compagno di vita e di lavoro, dominus di una delle case cinematografiche più produttive di Mediaset, Alberto Tarallo” (Repubblica online del 20/3/2020).

“La missiva risale al 18 dicembre 2018, 21 giorni prima che Losito si uccidesse impiccandosi al termosifone del bagno con il foulard della madre. Sono venti righe in cui “Teo” racconta quel malessere interiore, legato al fallimento societario, che gli ha fatto credere di non aver altra via d’uscita” (Repubblica online del 20/3/2020).

Come si è potuto leggere, l’Ares Film, della quale Teodosio era l’Amministratore, versava in gravissime difficoltà economiche (fallirà nel febbraio 2020), nel merito egli scrive al suo compagno:  

“Ho difficoltà ad affrontare la tua delusione, il tuo dolore, il tuo smarrimento, le tue reazioni, è come distruggere ciò che hai/abbiamo costruito con le mie mani, è come doverti infilzare un coltello nel petto” (Repubblica online del 20/3/2020).

Repubblica scrive anche:

“La lettera racconta “del rifiuto della realtà, la paura di qualcosa che è diventata ingestibile”. Losito dice al compagno di aver già provato a suicidarsi diverse volte, “ci sono i segni sui polsi”.

C’è da precisare, però, che:

“… sul movente economico che avrebbe spinto lo sceneggiatore ad uccidersi gli inquirenti hanno molti dubbi. La lettera potrebbe essere sottoposta a una perizia grafologica.

A Roma, infatti, c’è un indagine in cui il sostituto Procuratore Carlo Villani ipotizza il reato di istigazione al suicidio” (Repubblica online del 20/3/2020).

Come si è potuto leggere, potrebbe essere disposta una perizia grafologica, ma su quale quesito? 

Si ipotizza che la grafia non appartenga a Teodosio? 

Suppongo di no, altrimenti lo si sarebbe saputo (dalla voce del suo compagno, il destinatario della missiva), tuttavia mi compete la prudenza: tutto ciò che segue si basa sul fatto che la grafia sia autografa, ma anche se non lo fosse, non muterebbero i termini della questione. 

E’ indifferente, infatti, per i nostri scopi, se la persona che ha scritto la lettera si sia suicidata o meno, ci interessa solamente questo quesito: c’è coerenza tra il contenuto della lettera (che non è un biglietto di addio) e gli indici (o segni) di grafica simbolizzata e i segni grafologici?

La coerenza c’è e tanto qui basta, per gli scopi di questo post.

Il passo che interessa il presente post, in quanto è di ciò che si intende parlare, è questo, nel quale si parla del sentimento della vergogna:

“Mi vergogno troppo per sopravvivere a questa disfatta”…

Segnalo questo scritto perché, supponendo che sia di Teodosio, è uno dei pochissimi, dei circa seicento scritti di suicidi ormai studiati, che non ha il segno S1, che scoprii nel 2009. 

Prima di procedere debbo ribadire quanto segue.

Come più volte precisato su questa pagina, non esiste un segno grafologico della tendenza al suicidio, ma esiste un segno – ormai appartenente alla grafica simbolizzata – del pensiero suicidario. 

Occorre precisare ancora: il pensiero suicidario consiste in una ideazione, spesso fuggevole (ossia che è immediatamente rimossa), del tipo: “non fossi mai nato!”.

I casi in cui questo segno desta preoccupazione sono rarissimi (dipende dal contesto degli altri segni, più dalle condizioni esistenziali del momento provate dallo scrivente, che non si possono desumere dalla scrittura) e nemmeno in questi casi si può dire se una persona si suiciderà. 

Il segno S1 (ormai se ne è sicuri, in quanto non essendo raro, è stato collaudato ed è collaudato ancora su moltissime scritture, intervistando gli scriventi interessati) è un bisogno di sottrarsi al qui ed ora, auspicandosi di tornare nel passato più remoto, ossia a prima della nascita: infatti, ciò implica il “non fossi mai nato”, prima detto.

Non posso esserne sicuro della data esatta ma, suppongo nel 2012, scoprii un altro segno: il riccio del bisogno di fuga precipitosa da un contesto relazionale che potrebbe fare provare il sentimento della vergogna.

Questo segno è molto più raro di S1, ciònonostante è stato possibile testarlo: se ne è avuta la conferma, intervistando gli scriventi. Come il segno S1, ormai l’ho condiviso nell’ambito dei soci e dei collaboratori storici dell’AIDAS–DGS*: potranno constatarne la presenza dell’uno e l’assenza dell’altro (S1).

Da dire che tale riccio in precedenza non l’avevo osservato su grafie di suicidi e nemmeno su grafie di tentati suicidi: lo consideravo, infatti, un meccanismo di salvaguardia e l’ho spiegato in questo modo alle persone sopra dette. 

Mi sono sbagliato, quindi? 

Suppongo di no: qui decide un contesto grafologico (come è noto, sono e intendo restare, con orgoglio, un grafologo) in cui l’ansia si autoalimenta e fagocita lo scrivente, con sensazione angosciosa di compressione interiore, togliendogli la lucidità del giudizio e del discernimento. 

Decide un contesto grafologico, infine, nelle quali le emozioni ristagnano a lungo, in quanto lo scrivente non sa diluirle… in un tale contesto, l’ansia, l’angoscia, la vergogna sono percepite per il sempre, come una condanna per l’eterno.

Basta tutto quanto sopra per indurre all’atto suicidario? Non devono rispondere a questo interrogativo né la grafica simbolizzata, né la grafologia.

Nulla, poi, qui si è voluto dire rispetto all’ipotesi  del reato di istigazione al suicidio, anche supponendo che la grafia sia di Losito.

Un’ultima parola rispetto ai traumi subiti dallo scrivente (si sta supponendo che sia il signor Losito, ma nulla cambierebbe se appartenesse ad altra persona): emergono chiari indici di grafica simbolizzata che ci dicono che, quando era piccolino, benché si sforzasse di essere buono e bravo, rispetto a mamma e a papà si percepiva e invisibile (come se non si accorgessero di lui, se non per punirlo e/o per rimproverarlo quando non eseguiva ciò che ci si sarebbe aspettati da lui) e trascurato, in quanto, per come percepiva lui i fatti, le attenzioni affettuose di mamma e di papà erano rivolte ad un altro membro familiare.

Tutto il comportamento dello scrivente, per come si desume dalla grafologia, si spiega sulla base dei condizionamenti principali di cui sopra (si omette il tema della omosessualità, in quanto non è di pertinenza né della grafologia, né della grafica simbolizzata, a prescindere da ogni tipo di considerazione che le persone interessate potrebbero apportare, legittimamente): lo scrivente ha esigenze esibizionistiche (ossia vuole essere notato, e vorrebbe imporre la sua presenza) e narcisistiche, in quanto ha uno smodato bisogno di essere amato, ma non sa come coniugare l’essere “bravo” e l’essere “buono” (non gli è stato possibile elaborare le due istanze in modo integrato, visto che anche quando pensava di essere stato bravo era disapprovato).

Insomma, non ha potuto coniugare queste due istanze, retaggio dei condizionamenti infantili più arcaici, in una sintesi unitaria.

Ne è derivata una organizzazione della personalità che si ispira alla razionalità (per i grafologi morettiani: principalmente Dritta, che è un segno qui dominante, più Accurata, più la sostenutezza, talora, di Aste rette), ma che è, talora, sabotata dal  “cuore” (grafia molto femminea). Insomma, i contenuti emotivi ed affettivi sabotano lo scrivente, anche perché quando emergono sono dirompenti ed obnubilanti, in quanto si ha uno smodato bisogno di essere amati.  

Una organizzazione di questo tipo (si osservino anche la strettezza tra parole e la tendenza a Confusa), inevitabilmente, è destinata a subire più scacchi e fallimenti. Li vive come la riprova dell’antico condizionamento: non sa “combinare” nulla di “buono e di bravo”, per quanto si sforzi, con l’insorgenza dei sentimenti angosciosi prima detti. In questo contesto, dominano i sentimenti della colpa e della vergogna. 

Il passato dello scrivente, in altre parole, è diventato il suo destino: si sarebbe potuto prevenire, invece. La funzione della grafica simbolizzata è, per l’appunto, prevenire. 

Chi ne volesse sapere di più, può scrivermi sulla mia chat privata.

Per informazioni sul come associarsi all’AIDAS-DGS, invece, scrivere a info@vigliottiangelo.it

Grazie


Di Guido Angeloni, autore della grafica simbolizzata (©), socio fondatore e direttore scientifico* dell’AIDAS-DGS (presidente A.Vigliotti, medico, psicoterapeuta, grafologo)

*(Per la parte attinente alla grafica simbolizzata).

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