Angelo Vigliotti
Medico e Psicoterapeuta
Grafologo giudiziario
Studio e ricerca in grafopatologia peritale
Grafopatologia giudiziaria
Definizione e significato
Introduzione
La scrittura è un gesto grafico, un movimento tridimensionale espressione della ragione, del sentimento e dell’istinto, e risulta essere la proiezione motoria di una attività cerebrale che coinvolge l’arco riflesso a partenza dalle aree motorie primarie (con i suoi assoni e con le sue sinapsi) e dalle sue connessioni (sistema nervoso centrale e periferico, simpatico e parasimpatico, funzionalità degli organi ed apparati) fino alla mano attraverso il funzionamento corretto delle ossa, muscoli e articolazioni. La scrittura risente dell’equilibrio energetico e dinamico di tutti gli organi interni e della relazione e rapporto neurogeno, circolatorio, linfatico tra i vari apparati con un meccanimo a feed-back. Una persona sana scrive in modo equilibrato, anche se le caratteristiche grafiche sono sempre personalizzate e individuali e rispecchiano il periodo temporale della scrittura (giovanile, dell’età di mezzo e senile). Una persona malata (nella mente, nel corpo, nell’anima, intesa come energia psicofisica), trasferisce nel gesto grafico i condizionamenti dovuti alla sua malattia.

Gli impulsi motori partono dal cervello (1) dalle aree motorie e dalle loro molteplici connessioni corticali e sub-corticali, ma possono subire delle interferenze a causa di patologie tumorali circolatorie e degenerative (2,3,4,5), e delle strutture muscolari e osteo – articolari periferiche, e da malattie croniche di un organo o di un apparato (cuore, polmone, fegato, milza, pancreas, intestino, rene e vie urinarie, prostata, occhio e annessi, ecc.), i cui sintomi interferiscono con la struttura mentale, psichica ed energetica del soggetto.
Queste interferenze si manifestano con anemia, astenia, adinamia, incoordinazione motoria, ipossia, atassia, confusione, tremori, disturbi dell’attenzione e della concentrazione e altri disturbi a seconda la prevalenza e l’intensità della lesione che inevitabilmente ricade sul tracciato che, fondamentalmente e in modo primario potrebbe entrare in un modalità di disorientamento sia mnesico (regressione a grafie elementari) che visuo-spaziale perdendo inesorabilmernte la sua spontaneità e in alcuni casi (quando è coinvolta l’attività motoria nelle aree primarie corticali e sinapsi di connessioni) può destrutturarsi, disorganizzarsi e degenerare, riflettendo in questo caso un disordine mentale, e può dare luogo a problematiche grafiche che riguardano il rapporto tra forma e movimento, tra pressione e qualità del tratto, tra direzione e dimensione del tracciato oltre a sconvolgere particolarità, tipicità ed elementi dinamici personalizzati.
Non solo una patologia cronico degenerativa come l’Alzheimer e altri tipi di demenza ma anche una anemia cronica non compensata, anche una BPCO (broncopneumopatia cronica ostruttiva) oppure una cardiopatia ischemica oppure un tumore con metastasi e terapie multiple possono portare a incapacità di intendere e di volere oltre naturalmente a malattie mentali come le grandi psicosi e alcuni grandi disturbi di personalità. Infine anche una scrittura infantile e puerile può essere il riflesso di qualcosa che nella mente non è giunta a completa maturazione.
Scrittura “sana”
A volte ci si chiede: Esiste una scrittura sufficientemente “ sana”? Si, è possibile. Una scrittura “sana” deve avere al momento della redazione dello scritto le caratteristiche che presento nella tabella seguente. Un grafopatologo non deve fare analisi e comparazione delle grafie. Il compito del grafopatologo è verificare se al momento dello scritto, il tracciato grafico (quesito posto dal giudice o da un avvocato o dal cliente) risente della patologia sofferta.

La scrittura “sana” si fonda sull’equilibrio dei tre cervelli (testa:razionale; cuore: limbico; gastroenterico: rettiliano), anche se un cervello può essere dominante e questo è fisiologico perché rientra nella costituizone del soggetto scrivente e nel suo carattere (sintesi tra genetica ed epigenetica e dell’imprinting ricevuto). La dominanza di un cervello favorisce anche lo sviluppo di un particolare tipo di struttura (cognitiva, emotiva ed istintiva) coordinate da 3 tipologie intellettive (analitica, creativa e pratica) che si esprimono in molteplici abilità. Per un maggiore approfondimento consulta Stenberg& Swerling: le tre intelligenze- Erickson ed.
In definitiva: una scrittura sana è visibile a livello obiettivo e presenta: un buon ritmo (non staticità e lentezze strane); è ben organizzata (buon rapporto tra massa e spazio, livello strutturale coerente, non c’è anarchia fra forma e movimento); il tracciato è maturo e personalizzato (non convenzionale, non scolastico, non schematico e rigido); forza pressoria sufficientemente valida senza disomogeneità evidenti, senza flussi energetici asimmetrici e contraddittori); non c’è un tracciato passivo ma il movimento e la forma condensano una originalità e una struttura antimodello in evoluzione e infine c’è una discreta armonia (tra le varie parti grafiche, con semplicità, proporzioni accettabili e ordine e simmetria).
Il tracciato grafico serve anche per individuare le tipologie multiple dell’intelligenza secondo Gardner. La teoria dell’intelligenza multipla èstraordinaria perché tutti possiedono queste abilità in una personalità unica. La grafopatologia ci permette attraverso l’analisi storica del tracciato a considerare. la persona di cui stiamo facendo l’analisi grafopatologica di studiarla nella sua unicità ma anche nella sua poliedricità e diversità

Il cervello razionale “pensa”, quello limbico “sente”, e il rettiliano “ decide”
Il cervello umano è l’oggetto più. complesso e misterioso che si conosca: 1.300-1.500 grammi di tessuto gelatinoso composto da 100 miliardi di cellule (i neuroni), ognuna delle quali sviluppa in media 10 mila connessioni con le cellule vicine. Le connessioni sono la nostra salvezza considerando che verso i 40 anni inizia la moria dei neuroni con un ritmo di 100.000 al giorno.
Ma al di là del cervello cerebrale ci sono ancora due altri cervelli: il cervello cardiaco (40.000 neuroni) e il cervello intestinale (500 milioni di neuroni).





Riflessione grafopatologica
La grafopatologia studia, esamina, analizza, una scrittura “malata”, cioè una grafia non armoniosa nella sua struttura,. non organizzata nelle sue dimensioni, non simmetrica nelle sue parti, non omogenea nella sua pressione e nella sua forma, non coordinata nel movimento e nel ritmo, non lineare nella sua chiarezza, non ordinata nello spazio e disposizione delle lettere, non semplice nella sua sobrietà, ma con tendenza a fluttuare tra la chiarezza e l’oscurità, tra staticità e scioltezza, tra calma e agitazione, tra essenziale e superfluo, tra debolezza e forza motoria, tra attività e passività non in maniera metodica con originalità, ingegnosità, dinamismo moderato, vitalità, ed energia spontanea e naturale, ma in modo anarchico, confuso, arruffato, stentato, snervato, complicato, esagerato, maldestro, disgrafico, fiacco, monotono e in alcune parole il tracciato è completamente oscuro (espressione del labirinto cieco della mente e del groviglio caotico della ragione).

In base a questa riflessione la grafopatologia non studia solo le malattie mentali e neurologiche che possono influenzare la scrittura ma qualsiasi malattia fisica o psichica che altera il gesto grafico rendendolo patologico e anomalo. È necessario ed essenziale che il grafopatologo sia un medico specializzato in grafologia generale e in grafologia medica. Una scrittura “patologica” implica sempre un soggetto patologico ad esclusione di falsi grafici con intenti di confondere la traccia originaria dello scritto. Se lo scritto è autografo (è l’autografia è documentata dal grafologo peritale), una scrittura patologica è l’espressione di una malattia fisica di qualsiasi organo o apparato (dal cervello alla mano), di un disturbo specifico di apprendimento (disgrafia, disortografia), la manifestazione di una psicopatologia mentale sofferta dal soggetto scrivente (nevrosi o psicosi e malattie mentali gravi), indice di incapacità di intendere e di volere in malattie croniche degenerative, o in sindromi anemiche o in patologie croniche che hanno come complicazione l’ipossia cerebrale, oppure una alterazione grafica dovuta all’assunzione di farmaci o droghe, oppure una alterazione dell’equilibrio omeostatico che si riflette sulla biochimica energetica.
Un giudice può affidare l’esame dello scritto a un grafologo consulente o peritale non medico ma se il grafologo non medico nella sua analisi scopre ed individua che il soggetto è affetto da una malattia, di qualsiasi tipo e prende dei farmaci specifici, è da “criminale” espletare la perizia senza chiedere al giudice la possibilità di una consulenza o perizia aggiuntiva e complementare di tipo grafopatologica eseguita in collaborazione con un grafologo “medico”. Un giudice “illuminato e aggiornato” affida una consulenza o una perizia grafica in cui c’è il sospetto di una patologia clinica o la richiesta esplicita di indagare sulla capacità di intendere e di volere a un grafologo di base che mette in evidenza l’autenticità dello scritto attraverso la comparazione delle grafie affiancato da un grafologo medico che analizza il rapporto tra scrittura ed equilibrio mentale nell’intendere e nel volere.
Il dramma, purtroppo, è ancora più grave di un crimine manifesto, quando il grafologo peritale, non medico e non specializzato in grafopatologia si mette a discernere di malattie portando a testimonianza leggi neurofisiologiche che lui ha studiato risalenti a oltre 50 anni fa. Leggi grafologiche non obiettive allora, assolutamente inadeguate ora quando le neuroscienze e le moderne tecniche di indagini (TAC, RMN, PET e altre in evoluzione) mettono in evidenza situazioni cliniche che oltre 50 anni fa erano inimmaginabili.

Il grafologo giudiziario non medico per sostenere le proprie idiozie si appella ai maestri storici della grafologia che erano dei ricercatori (anche bravi) ma alcuni non medici. Molto più semplicemente deve richiedere al giudice con umiltà, il parere di un grafopatologo. Il grafopatologo, se opera in maniera etica, saprà dare un contributo valido alla risoluzione del problema o meglio darà un aiuto per rispondere insieme al grafologo al quesito proposto dal giudice. Il tracciato grafico è strettamente connesso all’evoluzione scientifica delle neuroscienze e non si può fermare a 100 anni fa.

Questa scrittura non ha in sé un tracciatto “sano”. E’ una scrittura angolosa, in alcune parti, acuta,
più uguale che variabile.Non è estetica, non è elegante, non è armoniosa.
Fa riflettere. Sicuramente non è una scrittura equilibrata nelle sei dimensioni grafiche. Ma la disarmonia grafica, che non è disorganizzazione e destrutturazione, può portare anche ad una visione molto particolare di alcuni aspetti della vita e quindi in quel determinato settore un “focus” creativo.















I vari campi dello studio grafopatologico
La grafopatologia è lo studio di una scrittura in rapporto a una malattia o a più patologie del soggetto scrivente. È una branca della grafologia medica che a sua volta è un settore della grafologia di base. La grafologia medica studia l’evoluzione fisiologica della scrittura in relazione alla crescita dell’individuo scrivente (ciclo vitale), nei vari periodi e fasi della vita (grafologia infantile, giovanile, dell’adulto, della senilità). La grafopatologia studia il rapporto tra scrittura e malattia ed eventualmente il rapporto dei farmaci sul gesto grafico in qualsiasi tipo di malattia. La grafopatologia non analizza soltanto una scrittura malata, alterata, o destrutturata e disorganizzata di una persona affetta da una malattia neurologica o mentale o di entrambe, ma il rapporto tra gesto grafico e qualsiasi patologia del paziente.
Il soggetto potrebbe avere una malattia cardiocircolatoria più ipertensione, potrebbe essere affetto da una gastrite cronica, potrebbe avere una cefalea tensiva ricorrente, potrebbe essere obeso, avere una patologia cancerogena, neurodegenerativa, articolare e ossea e così via oppure potrebbe avere una malattia cronica di qualche organo o apparato. Il tratto grafico in grafopatologia rappresenta la risposta psico-neuro–endocrino–metabolica del soggetto scrivente con il quantum energetico che in quel particolare momento della sua vita lui ha a disposizione per redigere uno scritto. E poi non è detto e l’analisi grafologica lo dimostra che chi ha una determinata malattia abbia una scrittura “alterata”.
Nonostante che io abbia detto e ripetuto più volte, nei miei numerosi lavori grafologici che la scrittura risente dello stato fisico e psichico della persona, tuttavia se il soggetto è malato ma è ben compensato (da farmaci, dal suo stile di vita, dal suo equilibrio biochimico ed energetico), la scrittura può “avvicinarsi” a un tracciato fisiologico che rispecchi lo stile grafico neuromotoria dell’autore, senza avere una disgregazione totale.
L’esempio che porto è di un soggetto scrivente deceduto (causa in corso), ma ho ripreso solo una parte del tracciato per non far capire l’identità del “de cuius” che soffriva di cardiopatia con ipertensione e per questo prendeva dei farmaci e poi aveva due tumori maligni (prostata e vescica).
Inoltre era affetto da BPCO (Bronco Pneumopatia Cronica Ostruttiva) e da anemia. Nel 2011 il giudice aveva dichiarato il “de cuius” incapace di gestire la sua vita quotidiana e i suoi interessi.
Secondo la mia visione grafopatologica, la scrittura non è sana.

Demenza (?). No… DNC !
Secondo il DSM – 5 la parola demenza deve essere sostituita da Disturbo Neurocognitivo (DNC)
che si divide in 2 tipologie.
I disturbi neurocognitivi maggiori (DSM, 5 – Cortina ed. -2014) sono quei disturbi con un alto
grado di danneggiamento cognitivo in almeno una delle seguenti aree (fonte: www.studicognitivi.it
- Attenzione complessa (pianificazione, presa di decisioni, memoria di lavoro, risposta correttiva a un feedback
di errore, abitudini predominanti, flessibilità mentale); - Abilità esecutive (pianificazione, presa di decisioni, memoria di lavoro, risposta correttiva a un feedback di
errore, abitudini predominanti, flessibilità mentale); - Apprendimento e memoria (memoria immediata, memoria di richiamo);
- Linguaggio (espressione e comprensione);
- Abilità percettive (visuali e costruttive);
- Cognizione sociale (riconoscimento di emozioni, teoria della mente,. regolazione del comportamento
Secondo Harrison (Medicina Interna pag. 2455) nella demenza vascolare. spesso l’obiettività neurologica può essere normale.
La perdita di un’abilità cognitiva maggiore non permette di redigere un testamento con capacità adeguata di intendere e di volere perché almeno uno dei disturbi mentali è presente per cui il soggetto scrivente può avere bisogno di aiuto che può essere una mano guidata, un suggerimento vocale guidato che consente di dirigere il contenuto dello scritto e poi di correggere gli eventuali errori.
I disturbi neurocognitivi minori (lieve e moderato)
Lieve deterioramento cognitivo in uno o più degli stessi domini dei disturbi. neurocognitivi maggiori, ma i soggetti affetti hanno conservato un funzionamento autonomo e l’indipendenza nello svolgimento delle attività quotidiane. Queste sindromi, ampiamente diffuse e riscontrate nella pratica clinica sono particolarmente critiche in quanto, se riconosciute e individuate in tempo, rappresentano il terreno fertile per l’intervento dei clinici. Esempi di questo tipo di disturbi sono le demenze dovute a condizioni mediche generali, a traumi cranici, a malattie psichiatriche, ma anche i primi stadi di malattie neurodegenerative come la demenza di Alzheimer. Il disturbo neurocognitivo minore si presenta in associazione a sintomi psicotici (ideazione delirante ed allucinazioni), alterazione dell’umore (ansia, euforia, depressione, labilità emotiva), autonomia funzionale intaccata, ma sufficientemente compensata attraverso l’uso di strategie compensatorie e di adattamento. Il disturbo neurocognitivo moderato si associa a disturbi comportamentali (vagabondaggio, comportamenti di accumulo, aggressività, agitazione psico-motoria etc.) (fonte:
www.studi cognitivi.it). La demenza neurodegenerativa ha un decorso di circa 10 anni (a volte anche di più).

Oggetto “vero” della grafopatologia
La grafopatologia studia, esamina, analizza una scrittura “malata”, cioè una grafia non armoniosa nella sua struttura, non organizzata nelle sue dimensioni, non simmetrica nelle sue parti, non omogenea nella sua pressione e nella sua forma, non coordinata nel movimento e nel ritmo, non lineare nella sua chiarezza, non ordinata nello spazio e disposizione delle lettere, non semplice nella sua sobrietà, ma con tendenza a fluttuare tra la chiarezza e l’oscurità, tra staticità e scioltezza, tra calma e agitazione, tra essenziale e superfluo, tra debolezza e forza motoria, tra attività e passività, oppure ad eccedere in una sola dimensione. Una scrittura patologica è l’espressione di una malattia. fisica di qualsiasi organo o apparato (dal cervello alla mano), di un disturbo specifico di apprendimento (disgrafia, disortografia), la manifestazione di una psicopatologia mentale sofferta dal soggetto scrivente (nevrosi o psicosi e malattie mentali gravi), indice di incapacità di intendere e di volere in malattie croniche degenerative, o insindromi anemiche e circolatorie o in patologie croniche che hanno come complicazione l’ipossia cerebrale, oppure una alterazione grafica dovuta all’assunzione di farmaci o droghe, oppure una alterazione dell’equilibrio omeostatico e metabolico che si riflette sulla biochimica energetica. Nelle pagine seguenti metterò diversi esempi che coinvolgono la grafopatologia.
Esempio di disturbo della personalità

disturbo antisociale di personalità
è un disturbo di personalità caratterizzato dal disprezzo patologico del soggetto per le regole e le leggi della società e del mondo circostante, da comportamento impulsivo, dall’incapacità di assumersi responsabilità e dall’indifferenza nei confronti dei sentimenti altrui. Il dato psicodinamico fondamentale è la mancanza del senso di colpa o del rimorso, con la mancanza di rispetto delle regole sociali e dei sentimenti altrui.
Il disturbo narcisistico di personalità è un disturbo della personalità i cui sintomi principali sono egocentrismo patologico, deficit nella capacità di provare empatia verso altri individui e bisogno di percepire ammirazione, che iniziano entro la prima età adulta e sono presenti in svariati contesti.
















Demenza e scrittura
La demenza è una sindrome che comporta un declino progressivo a livello mentale associato a deterioramento di diverse abilità intellettuali, con conseguente deficit cognitivo e funzionale. Alla fine del ciclo demenziale che può durare da 10 a 15 anni c’è il crollo totale dell’identità della persona che perde progressivamente “il sapere, il saper fare, il saper essere”. Nella demenza “degenerativa” si possono considerare clinicamente 3 stadi evolutivi (manuale Merck 2016). Spesso la demenza è preceduta da una fase pre-demenziale che la scuola statunitense chiama MCI (Mild Cognitive Impairment) in cui il quadro deficitario si esprime per lo più nella memoria mentre le altre attività sono conservate. Questo quadro clinico può anticipare la demenza di alcuni anni oppure può essere la prima fase (inizio insidioso) di una demenza degenerativa.
Stadio iniziale: scadimento della memoria a breve termine, compromissione della capacità di critica. I familiari possono riferire che il paziente “non si comporta come al solito”. Si manifestano frequentemente oscillazioni dell’umore, come depressione ed euforia. In questo primo stadio i sintomi della malattia sono appena pronunciati e non si registrano compromissioni cognitive tali da impedire lo svolgimento delle normali attività quotidiane. La scrittura risulta “normale” per l’età del soggetto. Può presentare dei tremori, delle rigidità angolari, ma risulta abbastanza omogenea nel percorso grafico. Può non avere in sé, nel proprio tracciato la patologia grafica dell’incapacità di intendere e di volere soprattutto se l’attività motoria non è eccessivamente coinvolta a livello cerebrale. Studi di neuroscienze hanno confermato che non tutte le abilità cognitive sono contemporaneamente coinvolte all’esordio clinico che risulta molto insidioso.
L’inizio della demenza non è l’inizio della non demenza ma è l’inizio di una patologia mentale per cui si iniziano a perdere alcune capacità. Oltre la memoria a breve e a lungo termine (presente già nella fase pre-demenziale), ci può essere la perdita del pensiero astratto oppure della capacità critica, oppure del linguaggio, oppure dell’orientamento spazio temporale. Quindi una grafia malata è già espressione di incapacità di intendere e di volere.
Il pensiero critico è un tipo di pensiero che si propone di raggiungere un giudizio attraverso processi mentali di discernimento, analisi, valutazione, inferenza, non disgiunti da spiegazioni delle considerazioni sulle quali si fonda quel giudizio. Comprende processi di riflessione su aree tangibili e intangibili con l’intento di formarsi un giudizio solido che riconcili l’evidenza empirica con il senso comune. Il pensiero critico trae informazioni dall’osservazione, l’esperienza, il ragionamento o la comunicazione. Esso si fonda sul tentativo di andare al di là della parzialità del singolo soggetto: i suoi valori fondamentali sono la chiarezza, l’accuratezza, la precisione e l’evidenza. (Fonte: wikipedia e Philip C. Abrami, Robert M. Bernard, Eugene Borokhovski, David I. Waddington, C. Anne Wade e Tonje Persson, Strategies for Teaching Students to Think Critically: A Meta-Analysis, in Review of Educational Research, vol. 85, nº 2, 1º giugno 2015,
pp. 275-314). La letteratura sul critical thinking nel mondo anglosassone è sterminata ma concetti e metodi suggeriti dai vari autori si differenziano poco. Robert H. Ennis, ha definito il pensiero critico (critical thinking) come “un pensiero razionale e riflessivo focalizzato a decidere cosa pensare o fare”. Il pensiero critico è l’attitudine a uno scetticismo riflessivo nei confronti di ciò che leggiamo e ascoltiamo (dalle persone, dalla TV, dalla radio, dai giornali, ecc). Critico, in quest’ottica, non significa solo andare alla ricerca di errori, incoerenze, debolezze ma significa giudicare ciò che è apprezzabile (e perchè) e ciò che non è apprezzabile nei testi che leggiamo o nei discorsi che ascoltiamo. Il pensiero critico è una capacità intellettuale che va sviluppata e non un’attitudine che si eredità geneticamente, esso non è una credenza ma un processo. Il pensiero critico consente di stemperare i propri pregiudizi per tentare di confrontare obiettivamente punti di vista diversi fino a giungere, nella migliore delle ipotesi, a una sintesi equilibrata (e temporanea). Pregiudizi, stereotipi e illusioni cognitive continuano ad agire sulla mente umana prepotentemente e visceralmente, ma un pensatore critico dovrebbe essere in grado di distinguere le situazioni nelle quali è opportuno mettere loro un freno. (fonte www.pensierocritico.eu). La capacità critica è una dei requisiti fondamentali della raggiunta maturità individuale. Essa consiste nella competenza di esaminare le situazioni con sguardo libero da eccessivi condizionamenti interni ed esterni. Questo esame può essere consapevole o inconsapevole a seconda dell’importanza della decisione da prendere, ma anche della maturità dell’individuo; una buona capacità di critica è la caratteristica di una persona che ha raggiunto un discreto livello di autonomia e di responsabilità
Stadio intermedio: la capacità di eseguire le attività quotidiane elementari (p.es., farsi il bagno, vestirsi, lavarsi) si riduce. I pazienti non sono in grado di acquisire nuove informazioni. I normali segnali ambientali e sociali non vengono registrati, il che aumenta il disorientamento nel tempo e nello spazio. I pazienti possono smarrirsi anche negli ambienti familiari. C’è incapacità di intendere e di volere, spesso aggravata da problemi deliranti. In questo stadio la scrittura comincia a deviare dalla norma in modo più consistente. Assume un aspetto diverso da una scrittura di un anno o di qualche anno prima. Il soggetto abituato al corsivo può passare allo stampatello, aumentano alcune irregolarità grafiche, c’è la presenza di disomogeneità pressoria e può presentare qualche deformazione, deviazione, discontinuità. Il soggetto abituato a scrivere perde il ritmo e la regolarità grafica nelle sue varie componenti, dovuta all’astenia, all’assenza di motivazione e al blocco delle sinapsi cerebrali delle aree motorie e delle connessioni tra i vari lobi cerebrali. A causa della perdita di memoria sempre più accentuata ci può essere nel contenuto grafico qualche contraddizione. Ci possono essere ripassi, aggiunte di parole (precedentemente dimenticate), o contenuti fuori della realtà. In questo stadio è molto facile suggestionare il soggetto scrivente e ottenere uno scritto con contenuto guidato.
Stadio terminale: il soggetto non può eseguire le attività quotidiane e diventa totalmente dipendente dagli altri per l’alimentazione, la pulizia e gli spostamenti. La memoria a breve e lungo termine viene persa completamente e i pazienti possono essere incapaci di riconoscere anche i familiari stretti. L’alterazione mentale, anche se lentamente, progredisce in modo drammatico e il soggetto è incapace di comunicare con il mondo esterno. Spesso non riesce a scrivere. In altri momenti le tracce mnesiche grafiche si perdono e si può arrivare alla deformazione conclamata, alla disorganizzazione tra le lettere nelle parole e all’anarchia completa del gesto grafico nel suo moto primario, fino alla perdita dell’identità grafica con il ritorno allo scarabocchio primitivo del nostro percorso esistenziale.
Queste fasi grafiche sono evidenti laddove c’è una ipossia cerebrale dovuta ad atrofia corticale diffusa, o a una complicazione di una sindrome anemica, o a una vasculopatia. In genere la patologia grafica è progressiva ma nella vasculopatia cerebrale si può avere l’impressione di una scrittura che ritorna ad essere “normale”. Questa situazione clinica motoria “paradossa” è tipica della demenza vascolare dove ci possono essere dei periodi di stasi dovuta a compensazioni vascolari o a terapie, ma ciò non vuol dire che il soggetto non è demente. C’è stato solo un periodo di pausa e la letteratura scientifica internazionale conferma l’evoluzione nella demenza grave che diventa sempre più drammatica in questo passaggio tra malessere e “falso” benessere a causa delle frequenti ricadute. Nelle pagine seguenti porterò alcune classificazioni delle demenze fatte da vari centri e autori, per capire meglio il problema dei disordini cognitivi maggiori come oggi vengono chiamati nella classificazione del DSM-5 (2014)

Classificazione delle demenze
Ci sono varie classificazioni. Ne riporto alcune, solo per capire meglio il problema. Alcune demenze sono reversibili. Le Alterazioni anatomopatologiche, sono caratterizzate da riduzione della massa cerebale con approfondimento dei solchi e delle scissure, assottigliamento delle circonvoluzioni, dilatazione dei ventricoli, spopolamento neuronale e con lievemente diversi aspetti istopatologici nelle varie forme.



Il grafopatologogo deve conoscere attraverso le cartelle cliniche , gli esami strumentali e la storia del paziente la differenza tra MCI e la demenza, che sono due cose diverse. Nel MCI c’è ancora la
capacità di intendere e di volere. Infatti le caratteristiche del MCI sono le seguenti:
x Disturbo cognitivo riferito direttamente dal paziente e/o familiari
x Ridotta performance in uno o più domini cognitivi
x Autonomia preservata
x Assenza di Demenza
Nella demenza, no! Con il termine Demenza si designa un insieme di condizioni cliniche che interferiscono sulle funzioni cognitive, causando disturbi di memoria, linguaggio e ideazione causate da differenti patologie a carico del cervello. Le Demenze corticali, caratterizzate da estesa atrofia corticale e da lesioni degenerative intra-ed extra- neuronali (placche di amiloide) con progressiva perdita di cellule nervose nelle aree cerebrali vitali per la memoria e per altre funzioni cognitive, sono rappresentate in primo luogo dalla malattia di Alzheimer e secondariamente dalla malattia di Pick, dalla demenza fronto-temporale e dalla demenza a corpi diffusi di Lewy. Nelle Demenze sottocorticali, predominano il rallentamento dei processi cognitivi ed alterazioni della personalità e disturbi affettivi di tipo depressivo. Alcuni autori paralno anche di atrofia emporale, che indica l’atrofia della corteccia temporale (il lobo corticale dietro le orecchie), ippocampo e amigdala. Nella pagina seguente mostro alcune neuroimmagini di demenze corticali e sottocorticali.








Demenza degenerativa e demenza vascolare nella scrittura.
Entrambe le patologie presentano un tracciato “malato”. La malattia di Alzheimer presenta una grafia più destrutturata, più disorganizzata più anarchica rispetto alla demenza vascolare.
Nella demenza vascolare il tracciato è più fluttuante. In alcuni periodi ben organizzato, in altri disorganizzato. Questa fluttuazione grafica dipende da svariati fattori tra cui il compenso emodinamico e farmacologico

Nella demenza “degenerativa” si possono considerare clinicamente 3 stadi evolutivi (manuale Merck 2016). Spesso la demenza è preceduta da una fase pre-demenziale che la scuola statunitense chiama MCI (Mild Cognitive Impairment) in cui il quadro deficitario si esprime per lo più nella memoria mentre le altre attività sono conservate. Questo quadro clinico può anticipare la demenza di alcuni anni oppure può essere la prima fase (inizio insidioso) di una demenza degenerativa.
Prima fase
La scrittura risulta “normale” per l’età del soggetto. Può presentare dei tremori, delle rigidità angolari, ma risulta abbastanza omogenea nel percorso grafico. Può non avere in sé, nel proprio tracciato la patologia grafica dell’incapacità di intendere e di volere soprattutto se l’attività motoria non è eccessivamente coinvolta a livello cerebrale. Studi di neuroscienze hanno confermato
che non tutte le abilità cognitive sono contemporaneamente coinvolte all’esordio clinico che risulta molto insidioso.

Seconda fase
In questo stadio la scrittura comincia a deviare dalla norma in modo più consistente. Il soggetto abituato al corsivo può passare allo stampatello, aumentano alcune irregolarità grafiche, c’è la
presenza di disomogeneità pressoria e può presentare qualche deformazione, deviazione, discontinuità. Il soggetto abituato a scrivere perde il ritmo e la regolarità grafica nelle sue varie componenti, dovuta all’astenia, all’assenza di motivazione e al blocco delle sinapsi cerebrali delle aree motorie e delle connessioni tra i vari lobi cerebrali.

Terza fase
Spesso il soggetto affetto dalla patologia degenerativa non riesce a scrivere. In altri momenti le tracce mnesiche grafiche si perdono e si può arrivare alla deformazione conclamata, alla
disorganizzazione tra le lettere nelle parole e all’anarchia completa del gesto grafico nel suo moto primario, fino alla perdita dell’identità grafica con il ritorno allo scarabocchio primitivo del nostro percorso esistenziale.

Logicamente mi attengo ai criteri pubblicati nel 2011 dal NINCDS-ADRDA per la diagnosi di
MCI, utilizzabili prevalentemente al momento per la ricerca, che sono i seguenti (già accennati in un paragrafo precedente):
- – Preoccupazione per un declino delle capacità cognitive rispetto a livelli precedenti, riportati dal paziente, da un suo familiare o dal Medico di Medicina Generale (MMG.)
- – Declino in uno o più domini cognitivi. é osservato un declino, rispetto all’età ed alle condizioni sociali e di educazione del paziente, di specifici domini, in particolare della
memoria, delle funzioni esecutive, dell’attenzione, del linguaggio e dell’abilità viso-spaziali.
Di solito un declino nella memoria episodica si osserva nelle persone con MCI che evolveranno con maggiore frequenza verso la forma clinica di AD. - – Mantenimento delle autonomie prestazionali. Il soggetto con MCI rimane autonomo, sebbene impieghi più tempo, sia meno efficiente e faccia più errori nel preparare un pasto, nel pagar eun conto, nel gestire gli acquisti, nel suo lavoro, ecc..
- – Sebbene vi sia un declino cognitivo, il soggetto non è demente.
Ricordo……………….. che l’MCI (Mild Cognitive Impairment) si riferisce a uno stato di transizione tra il normale invecchiamento e la demenza lieve. Il decadimento cognitivo lieve è una condizione clinica caratterizzata da una sfumata difficoltà in uno o più domini cognitivi (quali, ad esempio, memoria, attenzione o linguaggio), oggettivata attraverso i test neuropsicologici, tale però da non compromette le normali e quotidiane attività di una persona. Le persone con il decadimento cognitivo lieve di solito incontrano qualche difficoltà ad ultimare alcuni compiti complessi, che prima avevano sempre eseguito senza difficoltà, come occuparsi dei propri affari finanziari, prepararsi un pasto oppure fare la spesa. Potrebbero necessitare di tempi più lunghi, oppure essere meno efficienti o fare più errori rispetto al passato nelle medesime attività, ma ciononostante mantenere la loro autonomia e indipendenza. È bene ricordare però che non tutte le persone a cui viene diagnosticato il declino cognitivo lieve condividono lo stesso destino. In alcuni, i sintomi si mantengono stabili nel tempo, in gravità e frequenza; in altri, il deficit migliora o addirittura può regredire, se secondario a un’altra condizione clinica o di stress emotivo (quale depressione, carenze vitaminiche, abuso di medicinali o alcol) su cui il medico può intervenire (Fonte: http://www.centroalzheimer.org/). Deve essere chiaro che l’MCI non è demenza, ma quando si parla di demenza “lieve” si parla di demenza. E la demenza non è solo il risultato di un danno organico cerebrale ma può nascere anche da un disturbo psichiatrico collaterale o secondario al danno cerebrale e quindi alla distruzione o all’atrofia della sostanza grigia e bianca.
Quando è coinvolta l’attività motoria nelle aree primarie corticali e sinapsi di connessioni, il tracciato può destrutturarsi, disorganizzarsi e degenerare, potendo riflettere in questo caso un disordine mentale.

Il tracciato grafico è la chiave di volta per capire la demenza. La neurofisiologia del tracciato è l’ultima a morire in parallello con la deambulazione. Quando il soggetto scrive male c’è qualcosa che non va. Se la clinica conferma una patologia è possibile che siamo di fronte a un disturbo cognitivo.




Perdità di identità
Riguarda il rapporto tra forma e movimento, tra pressione e qualità del tratto, tra direzione e dimensione oltre a sconvolgere particolarità, tipicità ed elementi dinamici personalizzati. La firma
a causa di un imprinting storico esistenziale «ha una maggiore resistenza» a un decadimento cerebrale progressivo, tuttavia perde sempre qualcosa della sua vitalità, del suo dinamismo, della
sua energia. Quando la firma regredisce allo scarabocchio vuol dire che è entrata nel mondo del’inconscio con perdita totale della coscienza consapevole.

Patologie varie e Demenza (con degenerazione grafologica).
Sindromi psichiatriche
In patologia le interferenza mente-corpo si manifestano con anemia, astenia, adinamia, incoordinazione motoria, ipossia, atassia, confusione, tremori, disturbi dell’attenzione e della
concentrazione e altri disturbi a seconda la prevalenza e l’intensità della lesione che inevitabilmente ricadono sul tracciato che diventa: statico-deformato-disorganizzato-destrutturato-anarchicocaoticoIn un contesto di disarmonia, disequilibrio, asimmetria, non proporzionalità, non ordine, non
vitalità. Le neuroscienze richiedono lo studio non solo delle scienze biologiche, ma anche della matematica, della fisica, e della filosofia, della etologia e della linguistica. Un disturbo neurocognitivo con incapacità di intendere e di volere può essere dato non solo da una patologia cronico-degenerativa come l’Alzheimer e altri tipi di demenza ma anche da una anemia cronica non compensata, una BPCO (bronco pneumopatia cronica ostruttiva) oppure una cardiopatia ischemia, una insufficienza renale cronica oppure un tumore con metastasi, un idrocefalo normoteso, o terapie multiple che interferiscono con il giudizio, la memoria, la strategia operativa.
•
Justin B.N. et al. le malattie cardiache come fattore di rischio per la demenza (clin. Epidem. 2013;5:135-145))
•
Davey M.J. et al. Decline in renal functioning is associated with longitudinal decline in global cognitive functioning (Nephrol. Dial Transplant 2013 28 (7): 1810-1819)
Un pregresso infarto miocardico è associato ad aumentato rischio di demenza vascolare con una percentuale che arriva fin quasi al 35% e un pericolo più elevato che si estende fino a 35 anni dopo l’evento acuto. (Sundball et al. Higher risck of Vascular Dementia in Myocardial Infarction
Survivors: circulation 2017 oct. 12.). Anche la depressione può portare a un dramma esistenziale del disturbo neurocognitivo (dando una demenza che può essere reversibile se il soggetto risponde bene
alla terapia).





Tremore e scrittura
I tremori possono essere classificati sulla base di quando si verificano: a riposo (tremore a riposo) o durante il movimento (tremore d’azione) e i tremori d’azione possono essere classificati come quelli
che si verificano alla fine di un movimento verso un bersaglio (tremore cinetico), quando ci si sposta verso un oggetto (tremore intenzionale) o quando si tiene un arto allungato (tremore posturale).La maggior parte dei tremori sono tremori fisiologici (normali) e alcuni sono tremori
essenziali o causati da altri disturbi. I tremori che si manifestano a riposo sono spesso causati dal morbo di Parkinson.(Fonte: Manuale Merk). Molti che hanno il Parkinson scrivono bene ( senza tremore). Il tremore essenziale si manifesta principalmente come tremore posturale e talvolta cinetico, e le cause esatte sono sconosciute, ma si sospetta una predisposizione genetica. Il tremore
nel parkinson si nota quando la persona è a riposo (non compie movimenti). Il tremore spesso interessa una mano, ma può interessare anche i piedi o la mandibola. In genere è più evidente su un
lato. Si presenta come un’oscillazione con cinque-sei movimenti al secondo.


Anemia e cervello
Si parla di anemia quando nel nostro organismo la quantità di emoglobina diminuisce sotto la soglia di normalità. Secondo L’OMS (organizzazione Mondiale della Sanità) il quadro anemico si
definisce quando i valori di hb sono al di sotto di 13 g/dl nell’uomo e di 12 g/dl nella donna. In base al livello di emoglobina viene definito il grado di anemia.
x anemia lieve: Hb < ai valori di normalità, ma >10 g/dl
x anemia moderata: Hb 8 g/dl
x anemia grave: Hb <8 g/dl.
L’emoglobina è il componente fondamentale per il trasporto dell’ossigeno alle cellule e se questa diminuisce si presentano i classici sintomi come: affaticabilità, mal di testa e difficoltà di concentrazione. Questi disturbi di solito compaiono lentamente e possono essere sottovalutati per un periodo più o meno lungo, a seconda della causa dell’anemia.
Le anemie vengono classificate in base all’evento fisiopatologico che le determina: Insufficiente o alterata produzione midollare; Alterata sintesi di emoglobina; Ridotta sopravvivenza dei globuli
rossi; Acute perdite di sangue.


Riporto una nota dell” Harrison 17° edizione (vol.1 pag.356). “Il riconoscimento di un’anemia deriva di solito dal riscontro di alterazioni agli esami di laboratorio e solo occasionalmente un paziente giunge dal medico in stato anemico avanzato con i relativi segni e sintomi. L’anemia acuta
è quasi sempre dovuta a un sanguinamento o a emolisi. Se l’entità della perdita ematica è lieve vi è
un aumentata cessione di ossigeno grazie allo spostamento della curva di dissociazione dell’emoglobina mediato dalla riduzione del pH e o dall’aumento del CO 2 (effetto Bohr)
Anemia e scrittura
L’anemia (senza altre patologie neurologiche e cerebrali, cronico degenerative) a livello clinico presenta i seguenti sintomi (www.gimena.it/onlus: gruppo malattie ematologjche dell’adulto):

Un soggetto anemico ha una vitalità bassa, un soggetto fortemente anemico non ce la fa nemmeno a scrivere, considerando le difficoltà motorie, respiratorie, il senso di vertigine (comune spesso anche
all’anemia di media gravità) e l’adinamia muscolare. Lo scrivere è una attività fisica e durante questa attività il soggetto può avere tachicardia, dispnea, cefalea, e senso di fatica. Una grafia che può essere l’espressione di questo gruppo di sintomi, può avere il rigo discendente, una pressione al di sotto della media, e/o variabile, non accuratezza del tracciato, grande e curvilinea e può presentare anche qualche stentatezza se c’è sofferenza respiratoria e stato di forte debilitazione. Il tracciato grafico di un soggetto anemico può avere qualche difficoltà ma dipende essenzialmente
dal momento esistenziale in cui scrive e dalla compensazione organica (neuro-psico-endocrino–immunologica e metabolica) presente in quel periodo di vita del soggettto.
BPCO e scrittura
La BPCO (BroncoPneunopatiaCronicoOstruttiva) altera la forza fisica di una persona e l’energia vitale. Inoltre può modificare in senso patologico la normalità mentale a causa dell’ipossia cerebrale (scarsa irrorazione cerebrale dovuta all’ anemia e alla patologia polmonare cronica
ostruttiva). Già nel 2014 una pubblicazione di “Jama Neurol.” così concludeva: “negli adulti anziani la presenza di broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) da oltre 5 anni può aumentare il rischio decadimento cognitivo lieve, specie per competenze diverse da quelle
mnemoniche. Sono queste le conclusion di Balwinder Singh della Mayo Clinic di Rochester, Minnesota, coautore di un articolo pubblicato su JAMA Neurology. «La BPCO è una malattia progressiva caratterizzata da ostruzione cronica al flusso aereo e da una risposta infiammatoria anomala dei polmoni a sostanze nocive come il fumo di sigaretta» spiega il ricercatore, sottolineando che più di 13,5 milioni di adulti statunitensi soffrono della malattia polmonare. La
cronica limitazione del flusso aereo può causare una riduzione dei livelli di ossigeno nel sangue (ipossiemia) aumentando quelli di anidride carbonica (ipercapnia), condizioni che possono
predisporre i pazienti a un aumentato rischio di decadimento cognitivo, come già emerso da studi precedenti.
La perdita del senso dell’orientamento spazio-temporale è un disturbo caratterizzato dall’incapacità
di collocarsi adeguatamente entro le condizioni di tempo e luogo, nonché rispetto alla propria persona e all’ambito in cui ci si trova. Ci può essere la difficoltà a ricordare eventi recenti o passati
Il soggetto appare quindi smarrito, confuso e presenta difficoltà a coordinare i movimenti. Le cause più frequenti sono: anemia, ischemia cerebrale, ipertensione, demenza vascolare e degenerativa e
forme miste.La confusione può essere indotta dalla degenerazione cerebrale. La confusione mentale (è uno stato in cui il soggetto non riesce a ragionare lucidamente). È caratterizzato non solo da un senso di disorientamento, incapacità di concentrazione, ma anche perdita della memoria e difficoltà a prendere
decisioni. Esistono diverse forme di demenza, che si distinguono in base alla progressione della malattia. Le
demenze possono essere di tipo reversibile e irreversibile: Le forme reversibili rappresentano una piccolissima percentuale; i deficit, in questo caso, sono secondari a malattie o disturbi a carico di altri organi o apparati. Curando in modo adeguato e tempestivo queste cause anche il quadro di deterioramento regredisce, e la persona può tornare al suo livello di funzionalità precedente, ma spesso la realtà clinica è diversa ad una malattia cronica si aggiungono altre patologie per cui invece di miglioramento si va in un
peggioramento drammatico. La maggior parte delle demenze è di tipo irreversibile.
Harrison nei “Principi di Medicina Interna” inserisce tra le cause meno comuni di demenza l’insufficienza polmonare e Ludwig parla di funzione cognitiva compromessa nell’anemia. La ridotta disponibilità di ossigeno alle cellule (ipossia) che deriva da queste due patologie ha un effetto diretto sul
sistema nervoso centrale. L’ipossia acuta (Harrison pag. 229) causa alterazione della capacità di giudizio e incoordinazione motoria. L’anemia, la carenza di globuli rossi, può aumentare il rischio di demenza, secondo uno studio pubblicato nell’edizone online del 31 Luglio 2013 di Neurology®, la rivista medica dell’America Academy of Neurology (Chang Hyung Hong, Cherie Falvey, Tamara B. Harris, Eleanor M. Simonsick, Suzanne
Satterfield, Luigi Ferrucci, Andrea L. Metti, Kushang V. Patel and Kristine Yaffe Anemia and risk of dementia in older
adults Findings from the Health ABC study. Neurology July 31, 2013) William Graham Sumner ha fornito una descrizione piuttosto precisa del pensiero critico:

Farmaci e demenza
“La caratteristica essenziale della demenza è lo svilupparsi di molteplici deficit cognitivi che includono danni alla memoria e almeno uno dei seguenti disturbi cognitivi: afasia, aprassia, agnosia, o disturbo delle funzioni esecutive. Il deficit cognitivo può essere tanto grave da causare danno nel funzionamento sociale e occupazionale e deve rappresentare un declino da precedenti livelli di funzionamento più elevati. La demenza è una forma di deterioramento cognitivo cronica, insidiosa, progressiva e spesso permanente, che comprende deterioramento del pensiero, della memoria, delle capacità di apprendimento, e difficoltà nello svolgimento delle attività quotidiane, nella risoluzione dei problemi e del controllo emozionale. La demenza da farmaci può essere la causa del danno cognitivo in circa il 12% dei pazienti con sospetta demenza, anche se manca una definizione precisa della demenza da farmaci. Negli anziani il rischio relativo di demenza da farmaci aumenta con l’aumentare del numero di farmaci assunti, variando dall’1,0 con l’uso di 0-1 farmaco al 9.3 con l’uso di 4-5 farmaci. La prevalenza della demenza indotta da farmaci non è nota, ma tra gli effetti avversi da farmaci la demenza reversibile in pazienti di 60 anni o più rappresenta il 5%. I farmaci possono provocare danno cognitivo indirettamente, attraverso effetti metabolici, quali l’ipoglicemia,
attraverso alterazioni dei fattori immunologici del SNC o interferendo con le funzioni sinaptiche.
Fattori maggiori di rischio per il danno cognitivo sono innanzitutto l’età avanzata e le sepsi; inoltre: ipoalbuminemia, ospedalizzazione, stato post-operatorio, infarto miocardico, scompenso cardiaco, anemia acuta, ictus che coinvolge le strutture sottocorticali, gravi malattie croniche, procedure
chirurgiche toraciche cardiache e non, chirurgia dell’aneurisma dell’aorta toracica, insufficienza renale, malattia HIV, danni del sensorio, dolore non trattato, squilibrio idroelettrolitico o acidobase, infezioni, ipossia e ipercapnia, malattia di Parkinson, depressione, livelli anormali di glucosio, ritenzione urinaria acuta, deficiti nutrizionali (vitamina B12, folati), malattie del collagene, discrasie ematiche, stipsi o diarrea, ipertermia, isolamento familiare e sociale, deprivazione di sonno, tumori,
abuso di alcool o di sostanze, fattori psico-sociali o stress, ipersensibilità, danno da agenti fisici, storia di traumi cerebrali e, ovviamente, farmaci. Il danno cognitivo indotto-da-farmaci si può categorizzare in due tipi: delirio e demenza. Il delirio indotto-da-farmaci si riferisce allo sviluppo di uno stato confusionale acuto, mentre la demenza implica più alterazioni croniche delle funzioni mentali. Il danno cognitivo indotto-da-farmaci è la causa reversibile più comune di confusione. Può essere relativo alla dose o, in alcuni casi di delirio, può essere idiosincrasico. Il danno cognitivo secondario a farmaci non psicoattivi è più probabilmente dovuto ad un meccanismo idiosincrasico”.
(fonte:http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=6507) Articolo a cura di Patrizia iaccarino


Idrocefalo normoteso e demenza.
E’ una patologia che se non curata chirurgicamente, è gravissima perché può portare alla demenza, a disturbi di deambulazione, e a incontinenza urinaria. E’ una sindrome descritta per la prima volta da Hakim e Adams nel 1965 (In realtà l’idrocefalo normoteso fu descritto per la prima volta nel marzo 1964 in Colombia, nella tesi di laurea n.957 della studentessa Olga de Heredia (“Algunas observaciones
sobre la presión del LCR. Síndrome hidrocefálico en el adulto, con presión normal del líquido céfaloraquídeo”) compilata sotto la supervisione del neurochirurgo Salomón Hakim Dow, che, ai tempi, prestava servizio presso l’Ospedale Militare di Bogotà. L’anno successivo, Hakim pubblicò con Raymond Adams E. Professore di Neuropatologia ad Harvard (USA), un lavoro dal titolo The special clinical problem of symptomatic hydrocephalus with normal cerebrospinal fluid pressure. Observations on cerebrospinal fluid hydrodynamics sul Journal of Neurological Sciences) L’idrocefalo normoteso è una patologia
neurologica, che colpisce soprattutto le persone anziane. E’ caratterizzato da un accumulo di liquido cefalorachidiano che è secondario a una alterazione dell’equilibrio tra produzione e assorbimento.
Riporto dal manuale Merck un commento di Juebin Huang, MD, PhD, Assistant Professor, Department of Neurology, Memory Impairment and Neurodegenerative Dementia (MIND) Center, University of Mississippi Medical Center: “L’idrocefalo normoteso è caratterizzato da disturbi della
deambulazione, incontinenza urinaria, demenza, dilatazione dei ventricoli cerebrali con pressione del liquido cerebrospinale normale o leggermente elevata. Si ritiene che l’idrocefalo normoteso derivi da un difetto nel riassorbimento del liquido cerebrospinale da parte dei villi aracnoidei.
Questo disturbo rappresenta massimo il 6% delle demenze; la demenza è un deterioramento cognitivo globale, cronico e generalmente irreversibile. La demenza può comparire solo nelle fasi
più avanzate. I più frequenti sintomi precoci di demenza sono i disturbi della funzione esecutiva e dell’attenzione; la memoria tende a essere compromessa più tardivamente.
I classici sintomi (disturbi della deambulazione, incontinenza urinaria, e demenza), anche combinati, non sono specifici dell’idrocefalo normoteso, in particolare negli anziani. Per esempio,
alcune forme di demenza vascolare possono causare anche disturbo della deambulazione e, meno comunemente, incontinenza urinaria. (www.msdmanuals.com/it-it/professionale/malattieneurologiche/delirium-e-demenza/idrocefalo-normoteso). Al convegno di alcuni anni fa a Varese (2 aprile 2009) su ““L’idrocefalo dell’anziano: una demenza trattabile” il professore Giustino
Tomei ha detto che “Si stima che di tutte le forme di demenza senile, l’idrocefalo rappresenti una percentuale che oscilla tra l’1 e il 6%.” (fonte: http://www.varesenews.it/2009/03/l-idrocefalo-dellanziano). Harrison (Medicina interna 17° ed.) dice che disturbi della deambulazione si osservano
comunemente nella demenza multi-infartuale, nella malattia di parkinson e nell’idrocefalo normoteso. A differenza dell’Alzheimer si ha un precoe e importante disturbo della
marcia….(ibidem…pag.2463). la demenza è potenzialmente reversibile se si interviene con un intervento chirurgico.
La sostanza bianca ha il compito di trasmettere l’informazione lungo tutto il sistema nervoso centrale. Il nome deriva dal colore bianco della guaina mielinica, che avvolge gli assoni dei neuroni e consente il passaggio dell’impulso elettrico da un neurone all’altro. La sostanza bianca
nel cervello si trova sotto la corteccia composta di materia grigia, mentre nel midollo spinale si trova all’esterno della sostanza grigia I danni alla sostanza bianca del cervello possono essere un
marker precoce dell’Alzheimer. Scovare l’Alzheimer molto prima della comparsa dei sintomi e non andando a guardare la degenerazione della sostanza grigia del cervello, bensì quella della sostanza bianca. Secondo i ricercatori dell’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano, infatti, il danno alla sostanza bianca potrebbe rappresentare un marker precoce per la malattia di Alzheimer. È quanto confermano i risultati di uno studio clinico finanziato dal Ministero della salute e appena pubblicato sulla rivista Radiology ( giugno 20015: www. healthdesk.it/ricerca/iQuesta ricerca conferma il lavoro di Ziegler et al del 2008).
I problemi di memoria e il deperimento cognitivo che si possono riscontrare durante l’invecchiamento sarebbero maggiormente correlati alla perdita di sostanza bianca, connettivo delle diverse regioni del cervello, pittosto che alla mera degenerazione a livello della sostanza
grigia. Lo rivela uno studio del Massachussetts Institute of Technology (MIT) pubblicato su Neurobiology of Aging (David A. Ziegler et al., Cognition in healthy aging is related to regional
white matter integrity, but not cortical thickness, Neurob. of Aging, Dec 2008).
Un altro interessante articolo (Declino cognitivo nei pazienti con idrocefalo cronico e invecchiamento normale è stato pubblicato su “ Dement Geriatr Cogn Dis Extra . 2016 settembredicembre; 6 (3): 500-507”. Gli autori Marlijn H. de Beer e Philip Scheltens osservano nelle
conclusioni che “ La alterata dinamica del liquido cerebrospinale potrebbe rendere il cervello più vulnerabile ai cambiamenti legati all’invecchiamento, portando a un declino cognitivo più rapido nei
pazienti CH rispetto a soggetti sani, specialmente in caso di danni cerebrali concomitanti quali lesioni cerebrali traumatiche o meningite.” Joseph Alisky nell’articolo “Idrocefalo normoteso
coesistente con un secondo disturbo di demenza (Neuropsychiatr Dis Treat . 2008 febbraio; 4 (1):
301-304.) afferma che oltre ai risultati di imaging cerebrale TC e al disturbo dell’andatura, per fare una diagnosi di probabile idrocefalo a pressione normale, un paziente deve mostrare un deficit
cognitivo e incontinenza urinaria o fecale. La compromissione cognitiva può essere documentata da test neuropsicologici o in alternativa da almeno 2 su 7 sintomi cardinali di deficit cognitivo: rallentamento psicomotorio, bradicinesia, scarsa coordinazione, difficoltà di attenzione, richiamo alterato, perdita del funzionamento esecutivo e alterazioni significative nel comportamento e nella
personalità. Koivisto AM et al in “Alto rischio di demenza nell’ingrandimento ventricolare con sintomi correlati all’idrocefalo normoteso(J Alzheimer Dis. 2 marzo 2016; 52 (2): 497-507. doi:
10.3233 / JAD-150909 hanno studiato 468 pazientia valutando l’esito cognitivo a lungo termine in pazienti con ventricoli ingranditi e NPH clinicamente sospetto. La popolazione demente comprendeva il 73% dei pazienti non shunted con i ventricoli ingranditi, il 63% dei pazienti con
iNPH shunted che non rispondevano al trattamento e il 46% dei pazienti iNPH che erano inizialmente sensibili allo shunting. A conclusione di questo approfondimento sull’idrocefalo normoteso desidero riportare dal “Manuale di Gerontologia e geriatria” Piccin ed., di Ottavio
Bosello e Mauro Zamboni la descrizone della demenza da sindrome idrocefalica (idrocefalo normoteso) a pag.291 del manuale: “La demenza è caratterizzatada rallentamento mentale e motorio, apatia, indifferenza emozionale,anosognosia (incapacità del paziente di riconoscere e riferire di avere un deficit neurologico o neuropsicologico), deficit di memoria e dell’attenzione, rallentamento della velocità dell’elaborazione dell’informazione e delle funzioni esecutive (capacità di pianificare
e portare a termine). Un articolo del centro di Neurochirurgia endoscopica dell’Università di Pavia (http://cne.unipv.eu/site/home/conoscere-la-neurochirurgia) conferma che il decadimento cognitivo è lento, graduale, caratterizzato da disturbi dell’attenzione, da declino della memoria a breve
termine, da difficoltà a pianificare e da bradifrenia. Nel 60% dei pazienti con idrocefalo normoteso è presente anche una malattia cerebrovascolare. Se facendo una TAC appare per la prima volta un
idrocefalo con abnorme dilatazione è scientificamente corretto dedurre che l’idrocefalo è iniziato 2-3 anni prima. Si può anche dedurre che la demenza con una dilatazione abnorme è la regola. Se poi nello studio della patologia idrocefalica è presente anche una malattia cerebrovascolare la situazione
“demenziale” è drammatica e l’incapacità di intendere e di volere è totale (grado assoluto).

Cardiopatia ischemica
La cardiopatia ischemica è una condizione patologica del cuore che compare quando c’è un’insufficiente ossigenazione del muscolo cardiaco. La causa principale della cardiopatia ischemica è la malattia aterosclerotica a carico delle arterie coronariche. L’aterosclerosi è una
malattia degenerativa che favorisce il deposito di aggregati di grassi ed altre sostanze nella parete interna delle arterie. Tali depositi diminuiscono il lume vasale e l’elasticità delle pareti. Costretto a
passare in un vaso rigido di calibro ristretto, il sangue subisce un aumento di pressione mettendo a rischio l’integrità stessa dell’arteria. C’è un rapporto molto stretto tra cardiopatia ischemica e
demenza. Riporto l’articolo di B Ng Justin, et al. Le malattie cardiache come un fattore di rischio per la demenza (pubblicato su Clin Epidemiol . 2013; 5: 135-145 ).In questo articolo espone il legame tra demenza e malattie cardiache in tutte le sue forme, compresa la malattia
coronarica, infarto miocardico, fibrillazione atriale, malattia valvolare e insufficienza cardiaca. Le cardiopatie sono un problema crescente e l’insufficienza vascolare risultante ha il potenziale di
compromettere la funzionalità in altri organi, incluso il cervello. Esiste un corpus di letteratura in espansione che implica la cardiopatia come fattore di rischio per la demenza. Inoltre, una serie di studi suggerisce che i fattori di rischio cardiovascolare sono indipendentemente associati allo sviluppo della demenza. Il flusso sanguigno cerebrale ridotto (CBF) a causa di malattie cardiache di qualsiasi tipo peggiora l’omeostasi vascolare del cervello e amplifica i problemi cognitivi causati dall’accumulo di proteine tau e Aβ. Dati recenti mostrano anche un’associazione tra la progressione di AF ( Fibrillazione Atriale) e AD (Demenza di Alzheimer). In uno studio su 37.025 pazienti, 10.161 (27%) hanno sviluppato FA e 1535 (4,1%) hanno sviluppato demenza e la FA è stata indipendentemente associata significativamente alla demenza senile, vascolare e AD. L’analisi cross-sectional nello studio di Rotterdam ha riportato che l’AF esercita i suoi effetti solo
parzialmente attraverso l’ictus e ha mostrato un’associazione significativa tra AF e demenza e declino cognitivo, dove la demenza era due volte più comune tra i pazienti AF rispetto ai controlli
Bibliografia di apprpofondimento: 52. Bunch TJ, Weiss JP, Crandall BG, et al. La fibrillazione atriale è indipendentemente associata alla demenza senile, vascolare e di Alzheimer. Ritmo cardiaco 2010; 7: 433-437. 53. Ott A, Breteler MM, de Bruyne MC, van HF, Grobbee DE, Hofman A.
Fibrillazione atriale e demenza in uno studio basato sulla popolazione. Lo studio di Rotterdam. Ictus. 1997; 28 (2): 316-321

Vasculopatia cerebrale cronica
La vasculopatia cerebrale cronica è una condizione per quale si riscontra un danno anatomico per il mancato o ridotto afflusso di sangue arterioso al cervello. Il danno compromette le funzioni celebrali e se è esteso può provocare demenza od altri deficit più o meno evidenti clinicamente.
Young Lee (Dipartimento di Neurologia, Chungnam National University College of Medicine, Daejeon, Corea.) in Demenza vascolare (Chonnam Med J. 2011 agosto; 47 (2): 66-71.) mette in evidenza che una storia di ictus può essere assente nel 40% dei casi di demenza vascolare. Le lesioni ischemiche della sostanza bianca sono stati associati a età, ipertensione, diabete, sindrome metabolica, retinopatia microvascolare, elevati livelli di omocisteina e cardiopatie ischemiche.
L’insorgenza di SVD è insidiosa in oltre la metà dei pazienti e il decorso è generalmente continuo e lentamente progressivo. I sintomi e i segni neurologici correlati alla SVD includono deterioramento cognitivo, disturbi dell’andatura (squilibrio, caduta, andatura a passi brevi), disfunzione urinaria e
disartria. I cambiamenti comportamentali e cognitivi includono lentezza mentale (bradifrenia), labilità emotiva, cambiamenti di personalità e depressione. La deprerssione è comune in VaD, si
verifica fino al 20% dei casi ed è sproporzionatamente prominente in quei casi con piccole quantità di infarto. Può essere particolarmente correlato alle lesioni della sostanza bianca profonda frontale. I cambiamenti cognitivi e comportamentali nella SVD sono dovuti all’interruzione del circuito
cortico-sottocorticale frontale, con conseguente “sindrome sottocorticale frontale” o “sindrome dysexecutive”. Il meccanismo patofisiologico primario alla base di SVD sembra essere il danno
della parete vascolare nelle arteriole a penetrazione lunga che si riversano nella sostanza bianca, con conseguente degenerazione della sostanza bianca e comparsa di lacune. Poornima Venkat , BS, et al. in Modelli e meccanismi della Demenza vascolare (Exp Neurol. 2015 ott; 272: 97-108.). La demenza vascolare (VaD) è la seconda forma principale di demenza dopo la malattia di Alzheimer (AD) che affligge la popolazione anziana. Il VaD è una malattia progressiva causata da un ridotto flusso di sangue al cervello e influisce sulle capacità cognitive, in particolare sul funzionamento esecutivo. I pazienti del VaD (demenza vascolare) possono soffrire di pensiero lento, dimenticanza, depressione e ansia, disorientamento e perdita di funzioni esecutive come problem solving,
memoria di lavoro, pensiero, ragionamento, giudizio, pianificazione ed esecuzione di compiti, con prestazioni in declino con l’aumento della complessità del compito. Il VaD rappresenta circa il 17-
20% di tutti i pazienti affetti da demenza diventando la seconda forma di demenza principale dopo la malattia di Alzheimer (AD) ed è prevalente tra la popolazione più anziana


Insufficienza renale cronica
Una ridotta funzionalità renale è stata associata una diminuzione delle funzioni cognitive, la capacità di ragionamento e la memoria. Ad aver trovato una correlazione tra le funzioni dei reni e
quelle cognitive è un nuovo studio condotto da un team di ricercatori statunitensi della Temple
University di Philadelphia, l’Università del Maine e l’Università del Maryland, i quali hanno analizzato i dati longitudinali relativi a 590 soggetti per valutare gli eventuali cambiamenti nelle funzioni renali, e se questi potevano essere associati ad altrettanti cambiamenti nelle funzioni cognitive. L’analisi prevedeva la valutazione sia delle funzioni cognitive generali che più precise abilità. Poiché la funzione renale si riduce con l’avanzare dell’età, questo fenomeno potrebbe anche
spiegare perché spesso il declino delle funzioni cognitive si presenta proprio con l’avanzare dell’età. I ricercatori sottolineano che in quest’ottica divengono di fondamentale importanza la diagnosi e la gestione delle malattie renali, in particolare quelle croniche, perché questo può influire sul rischio di demenza. (Decline in renal functioning is associated with longitudinal decline in global cognitive functioning, abstract reasoning and verbal memory di Davey A, Elias MF, Robbins MA, Seliger SL, Dore GA. Pubblicato su Nephrol Dial Transplant. 2013 Jul; 28(7): 1810–1819.
Zammit AR, Katz MJ , Bitzer M, Lipton RB. Questo studio sulla compromissione cognitiva e demenza negli anziani con malattia renale cronica è stato confermato da una revisione della letteratura
medica pubblicata in “Alzheimer Dis Assoc Disord. 2016 ottobre-dicembre; 30 (4): 357-366” con queste conclusioni: Gli individui con malattia renale cronica (CKD), specialmente gli anziani,
corrono un maggior rischio di subire un decadimento cognitivo, che potrebbe portare a lieve deterioramento cognitivo e/o demenza. Gli studi riportano associazioni tra CKD e deterioramento
cognitivo; sebbene non sia chiara, sembra esserci un’associazione graduale tra stadio della CKD e domini cognitivi affetti, con la funzione esecutiva influenzata in precedenza nel processo rispetto alla memoria episodica e all’abilità globale.

Depressione e demenza
Un studio del 2014 pubblicato online su Neurology, la rivista medica dell’American Academy of Neurology (AAN) metteva già alcuni anni fa una relazione tra depressione e demenza. I ricercatori
neuropsichiatrici del Rush University Medical Center hanno coinvolto 1.764 persone provenienti dal “Religious Orders Study” e dal “Rush Memory and Aging Project”. L’età media era di 77 anni e
tutti i soggetti non presentavano problemi di pensiero o problemi di memoria all’inizio dello studio (basale). I partecipanti sono stati poi sottoposti ogni anno a screening per i sintomi della depressione, come per esempio l’isolamento e la mancanza di appetito. In parallelo sono stati sottoposti a test
sulle loro capacità di pensiero e di memoria, per una media di otto anni.
Un totale di 680 persone sono morte durante lo studio e, su 582 di queste, sono state eseguite le autopsie con l’intento di trovare placche e grovigli nel cervello – che sono segni accertati di demenza (o Alzheimer) e altri di danni cerebrali. Sempre durante il periodo di studio, 922 persone (il 52%) hanno sviluppato un deterioramento cognitivo lieve (MCI), o problemi medi di memoria e abilità di pensiero, che sono spesso un precursore della malattia di Alzheimer. Infine, un totale di 315 persone (il 18%) ha sviluppato la demenza vera e propria.
I risultati delle analisi, i test e le autopsie hanno mostrato che non vi era alcuna relazione tra la quantità di danni trovati nel cervello e il livello dei sintomi della depressione che le persone presentavano o la variazione dei sintomi della depressione nel corso del tempo. Tuttavia, le persone che hanno sviluppato il deterioramento cognitivo lieve avevano maggiori probabilità di mostrare un
più alto livello di sintomi di depressione prima che questa fosse diagnosticata, ma non avevano più probabilità di avere mutazioni nei sintomi della depressione dopo la diagnosi, rispetto alle persone
senza MCI. A conclusione dello studio, i ricercatori hanno trovato che avere un livello più elevato di sintomi di depressione è associato a un più rapido declino della capacità di pensiero e della
memoria, che rappresentano il 4,4% della differenza nel declino cognitivo che non poteva essere attribuita al livello di danni nel cervello ( fonte:http://www.lastampa.it/2014/08/01/scienza la-depressione-favorisce-la-demenza)

In un nuovo studio pubblicato sul Journal of Alzheimer’s Disease, dei ricercatori hanno scoperto che la Tomografia a Emissione di Singolo Fotone (SPECT), può aiutare a distinguere queste categorie diagnostiche. “Questa è una domanda clinica cruciale che ha implicazioni pratiche per la gestione del paziente e del trattamento”, ha spiegato il primo autore e psichiatra Daniel G. Amen MD.

Le ultime ricerche mostrano che un disturbo dell’umore in età avanzata può essere in alcuni casi il segnale anticipatore dell’Alzheimer. Il gruppo guidato dal professor Osvaldo Almeida è partito da questa osservazione: l’impiego di antidepressivi non faceva diminuire il rischio della demenza associata alla depressione. I ricercatori hanno arruolato più di 12.000mila uomini di età 65-84 anni
viventi a Perth nel 1996. Negli anni queste persone sono state risentite in merito a vissuti di depressione o meno.In media sono stati controllati per circa 9 anni e le cifre di depressione/demenza o di nessuna demenza hanno fatto capire agli studiosi australiani questa possibilità del disturbo
dell’umore come sintomo premonitore di un imminente declino cognitivo. «Si può pensare – hanno scritto Almeida e i colleghi – che la depressione che compare in giovinezza o nella mezza età possa contribuire a modulare il rischio di demenza più tardi nella vita, mentre la depressione che nasce in età avanzata sia più frequentemente una precoce manifestazione di un sottostante processo
neurodegenerativo». Sulla ricerca pubblicata su Translational Psychiatry, Massimo Tabaton, docente di Neurologia all’Università di Genova, impegnato in particolare sul terreno delle malattie
neurodegenerative, osserva: «Sì, la depressione nel corso della vita è un non forte fattore di rischio per la demenza, ma può anche, come affermano i ricercatori australiani, essere il primo sintomo
della demenza, che si presenta due-tre anni prima. In particolare se l’anziano non ha mai sofferto di disturbo dell’umore negli anni precedenti» (fonte: https://www.fondazioneveronesi.it)
Nascita e morte della scrittura
Per una buona scrittura ci vuole un cervello sano. Cosa succede se il soggetto è immatuto, se il lobo frontale, non è
atrrivato alla piena evoluzione? Succedono cose spiacevoli che si ripercuotono sul tracciato grafico, dando una compromissione parziale su alcuni domini cognitivi. Se poi il soggetto scrivente è affetto da un’altra malattia, la
compromissione parziale della capacità di intendere e di volere (indipendentemente da ciò che affermano i giudici) può
essere totale e al massimo grado. Logicamente ci vuole la clinica che può confermare con obiettività la diagnosi.


Grafopatologia e prevenzione
Il grafopatologo può svolgere un ruolo interessante per la prevenzione sia primaria (individuare alcuni anni prima attraverso il tracciato grafico, fattori di rischio che potrebbero dare problemi
neurocognitivi nel futuro) sia secondaria (ipotesi di diagnosi precoce), che terziaria (riabilitazione e prevenzione delle recidive). Riporto alcune grafie di un madre e un figlio che sono venuti in
consulenza per capire meglio un percorso da seguire, per evitare o se possibile attutire la possibilità di una malattia mentale considerando che ci sono stati casi in famiglia.



Disturbo post.traumatico da stress e malattia mentale
l Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD) è un grave quadro clinico che nella sua forma cronica si sviluppa solo in una piccola parte di sopravvissuti a un trauma. Recenti ricerche hanno dimostrato che un’esperienza traumatica è relativamente comune nella popolazione generale: i valori oscillano fra il 50-70% per le donne e il 60% per gli uomini (fonte: studicognitivi.it).
Numerose ricerche condotte negli ultimi anni hanno ormai stabilito un chiaro legame tra lo stress acuto o cronico che si può sperimentare nella vita quotidiana in giovane età e il rischio di sviluppare
diverse forme di declino cognitivo e malattia di Alzheimer in età più avanzata. Il maltrattamento infantile e la trascuratezza sono associati con anomalie strutturali e funzionali di diverse aree
cerebrali, incluso la corteccia cerebrale (logica e ragionamento), corpo calloso (integrazione dell’emisfero destro e sinistro), amigdala (riconoscimento della faccia e paura), lobo temporale (linguaggio ecc.). l’esposizione ad eventi stressanti ad un’età precoce rende il cervello meno
resistente agli effetti degli eventi stressanti successivi.
Se lo stress è cronico, esso produce livelli tossici di neurotrasmettitori che uccidono le leccule del cervello, in modo particolare dell’ippocampo. Ad esempio studi di neuroimaging vedono l’associazione tra maltrattamento e morfologia del cervello: alti livelli di esposizione verbale
genitoriale colpisce l’integrità del “fasciolo arcuato” che collega l’area di Broca e di Wericke e assistere alla violenza domestica colpoisce l’integrità del fasciculus longitudinale inferiore che
collega il sistema limbico e visivo (fonte: Terapia EMDR per i disturbi legati allo stress e al trauma – Anna Rita Verardo – associazione EMDR Italia – 2018)

Lezioni grafopatologiche dal “testamento”
Con la sentenza del 28 gennaio 2015 n. 285, il Tribunale di Firenze ha stabilito i primi sintomi di una demenza, quali “disorientamento” e “confusione mentale”, non sono elementi sufficienti per
invalidare il testamento olografo affermando che il testatore sia in uno stato di incapacità naturale.
La sentenza rispecchia una precedente sentenza della Cassazione secondo la quale per annullare il testamento olografo non basta ”una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed
intellettive del de cuius” occorre piuttosto dimostrare che per via di “un’infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privo in modo assoluto, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti ovvero della
capacità di autodeterminarsi”. Per i giudici non è sufficiente un semplice disorientamento mentale, una semplice mancanza di memoria, una perdita di energia che sono processi naturali della
vecchiaia ma è importante che all’atto della redazione del testamento, per causa di infermità, sia assolutamente privo di coscienza circa il sigificato dei propri atti e della capacità di autodeterminarsi. In questo contesto clinico, il tracciato grafico è un aiuto indispensabile perché ci
fa capire le coordinate mentali del soggetto al momento della redazione dello scritto. C’è un’altra riflessione da fare. La dott.ssa Claudia Zangheri Neviani commenta la sentenza 14 giugno 2012,
n.14655 della corte di cassazione, sez. ii civile. Si parte dal presupposto che : “una accertata incapacità di intendere e volere trova conferma dall’analisi tecnica di redazione del testamento da
cui emerge che la tecnica di redazione appariva incompatibile con lo stato psicofisico emergente dalla documentazione medica, così come la sapiente selezione di una corretta terminologia giuridica appariva incompatibile con le capacità grafiche e soprattutto ortografiche della de cuius.” Il caso legale: “Gli attori, eredi legittimi, sul presupposto della riconosciuta demenza senile e parkinson del testatore chiedono l’accertamento dell’invalidità del testamento olografo del defunto per incapacità a testare. Il tribunale di Tortona ritiene infondata la domanda. Avverso la sentenza di primo grado viene proposto appello che viene accolto dalla Corte di Appello di Torino con conseguente
annullamento del testamento, la quale ha ritenuto il testatore incapace di intendere e volere al momento della redazione dell’atto”. Il Quesito da risolvere è se “Lo stato di incapacità di intendere e volere è inconciliabile con la capacità di essere in grado di scrivere” (591 c.c). La dichiarazione di annullabilità o di nullità del testamento rendono privo di efficacia giuridica l’atto in questione, e travolgono gli atti di terzi che hanno acquistato diritti dal presunto erede e/o legatario.
Le varie cause di inefficacia del testamento sono espressamente disciplinate dal legislatore. Dal punto di vista soggettivo l’annullabilità può derivare dall’incapacità del soggetto a fare testamento.
Il legislatore prevede diverse ipotesi, per cui non possono fare testamento tutti coloro che ai sensi dell’art. 591 c.c. “sono dichiarati incapaci dalla legge.” Il soggetto in queste ipotesi non ha la capacità giuridica di disporre validamente dei propri beni, ciò in quanto il testamento è un atto personalissimo per il quale è vietata la rappresentanza; si tratta allora di una “vera e propria incapacità giuridica relativa[1]” Si discute sul quando detta incapacità debba essere valutata: se al
momento della redazione del testamento o a quello dell’apertura della successione (tematica che si inserisce nella più ampia problematica della successione delle leggi nel tempo suddivisa tra la teoria
del diritto acquisito[2] e quella del fatto compiuto[3]). Si sottolinea come nel nostro ordinamento vige l’art. 11 delle disposizioni preliminari il quale espressamente afferma che “la legge non può disporre che per l’avvenire e non ha effetto retroattivo”, ne deriva che il fatto compiuto deve essere valutato e interpretato in base alla legge vigente al momento del compimento del medesimo. L’incapacità di testare è l’eccezione alla regola e il codice la disciplina espressamente.
Non sono capaci di testare: i minori, gli interdetti giudiziali, gli interdetti legali, gli inabilitati, il minore emancipato, per i soggetti sottoposti all’amministratore di sostegno occorre vagliare cosa è
riportato nel decreto di nomina dell’amministratore[4], infine ci sono gli incapaci naturali. In questa ultima categoria vi rientrano tutti coloro che non sono soggetti ad una qualsiasi forma di interdizione o inabilitazione, ma che comunque presentano momenti in cui non sono capaci di intendere e volere. Il codice non da una definizione chiara di incapacità naturale, ci ha quindi pensato la cassazione la quale ha affermato che si tratta di incapacità naturale tutte le volte in cui un’infermità o un’altra causa turbino il normale processo intellettivo e cognitivo di una persona, privandolo della consapevolezza dei propri atti e della possibilità di autodeterminarsi. Ne consegue che ai fini dell’invalidità del testamento non è sufficiente che il processo di formazione della volontà sia alterato, ma è necessario che lo stato spico-fisico sia tale da sopprimere del tutto l’attitudine a determinarsi liberamente e coscientemente. La prova dell’incapacità naturale deve essere fornita con specifico riferimento al momento della redazione dell’atto, e non è possibile sostituirla con una presunzione di incapacità fondata sulla circostanza che il testatore fosse, in un periodo antecedente o posteriore, in uno stato mentale tale per cui non avesse la piena facoltà volitiva. Ciò non significa che le condizioni antecedenti e posteriori non possano essere valutate dal giudice, detto esame non deve consentire di affermare per presunzione l’esistenza dell’incapacità al momento della redazione del testamento ma, come affermato in diverse sentenze, il giudice può dall’accertamento di una malattia che influisca sulla psiche, accertata in data posteriore alla redazione del testamento, ricavare la presunzione di incapacità anche al momento della redazione del testamento. Si può, così, presumere l’incapacità in presenza di una infermità psichica permanente o abituale (ma non intermittente) con la conseguenza che occorre provare che nel momento della redazione dell’atto il testatore fosse in un momento di lucidità. La prova dell’incapacità del testatore può quindi essere fornita con ogni mezzo e deve riferirsi al momento della redazione del testamento. Il giudice allora non può ignorare il contenuto del testamento e le modalità di redazione del medesimo, valutando se siano o meno congruenti con lo stato fisico e mentale del testatore.

Che cosa significa capacità di intendere e di volere?
Capacità, sussistente al momento del fatto e rilevante in ordine allo stesso, che si manifesta quale idoneità a rendersi conto della realtà e del valore sociale delle proprie azioni – capacità di intendere e quale attitudine ad autodeterminarsi sulla base di dati presupposti percettivi, esercitando il controllo su stimoli e reazioni – capacità di volere – (art. 85 del c.p., art. 428 del c.c.). (Fonte:
www.brocardi.it/dizionario).
Il grafopatologo può essere chiamato a verificare il rapporto tra scrittura e malattia e a rispondere a quesiti. simili come: dica il consulente se al momento della redazione dello scritto, il soggettio scrivente, era capace di intendere e di volere. Oppure verificare l’influenza sul tratto grafico delle condizioni di salute e dei farmaci, oppure se le disgrafie presenti nel tracciato grafico del testamento e firma in verifica sono espressione di “incapacità di intendere e di volere” e così via. E’ estremamente importante verificare le
condizioni del testatore (l’andamento della patologia, le sue condizoni ematiche , la sua capacità di indipendenza o dipendenza negli atti quotidiani. ..) al momento della redazione dell’atto.
Esempi di testamenti
Sono testamenti olografi, nella maggioranza dei quali non ci sono problemi di tracciato grafopatologico. Molti studiosi, tra giudici e grafologi, affermano che il testamento è un atto semplice. La realtà è diversa. Essendo lo scritto testamentario una sintesi biografica intellettiva e volitiva, questa sintesi coinvolge il pensiero, il sentimento e l’istinto in un contesto intimo tra sacro e profano. L’atto testamenatrio è un atto molto complesso (anche se di poche righe) perché richiede la capacità di analisi e di sintesi e quindi una buona integrazione tra emisfero sinistro e destro.









Conclusioni
Di fronte a problemi come rigidità, tremore, lentezza, deformazione del tratto, il grafologo medico non può essere superficiale ma deve conoscere a fondo la malattia e la sua evoluzione per dare in
caso di perizia giudiziaria, una risposta al giudice quanto più obiettiva possibile e scientificamente corretta con equilibrio e profondità di analisi. E’ assurdo ed estremamente pericoloso, che un
grafologo “non medico” non utilizzi e non chieda al giudice un “auxilium” di un grafologo medico competente in materia nell’analisi di un “quesito” quando è presente un tracciato che lascia
perplessi oppure nella storia clinica c’è una patologia cronico – degenerativa o una qualsiasi malattia con terapia farmacologica. Questo comportamento non è eticamente accettabile
considerando le conseguenze esistenziali di una risposta peritale “sbagliata” o “fuoviante”. Il grafologo peritale, invece di operare per la giustizia, crea una “vittima dell’ingiustizia”. So che nel corso di questa riflessione sulla “grafopatologia” mi sono ripetut, diverse volte, sui vari obiettivi di
questa disciplina, ma ciò nonostante, in sintesi riepilogo i 5 punti oggetto della grafopatologia:
- La incapacità di intendere e di volere, non solo da malattie neurologiche dirette a livello cerebrale come le problematiche legate alla degenerazione e alla vasculopatia cronica cerebrale e delle varie
complicanze ma anche da malattie cardiorespiratorie, da anemia
cronica, da tumori in qualsiasi sede e da patologie croniche nei vari
apparati (gastroenterico, urinario, epatico, muscolare, articolare, osseo, linfatico ) e da tutte le patologie che si esprimono con ipossia, astenia, adinamia, alterazione del movimento. - La prevenzione e la diagnosi precoce di malattie fisiche e mentali; il
loro percorso tra normalità e patologia, tra pausa e attività, tra
benessere e malessere. - La psicopatologia cioè i vari disturbi di personalità a livello nevrotico, psicotico, criminolologico, di dipendenze (chimiche, affettive, relazionali, ideologiche), di disorganizzazione strutturale
dell’IO (immaturità, disarmonia, comportamenti devianti) - L’analisi dei tre cervelli, cioè delle tre anime dell’uomo quando salta
l’equilibro tra Razionalità, Sentimento e Impulso con comportamenti
potenzialmente aggressivi a secondo la dominanza. Il cervello razionale si esprime attraverso il sadismo, il masochismo, il gioco del potere (valutazione del rischio economico nella gestione del
lavoro e valutazione della responsabilità verso se stesso e gli altri) e l’io ipertrofico; il cervello emotivo–relazionale attraverso una
condotta non etica, non empatica, anaffettivia, egoistica ed egocentrica con narcisismo patologico; il cervello rettile con il suicidio, l’omicidio, la distruttività, il raptus violento , la
possessività demoniaca e forme di devianza imprevedibile. - Il rapporto tra malattia e tracciato, tra mente e cervello, tra farmaci assunti e andamento grafico, tra stress, ritmo circadiano e scrittura, tra unità psico-neuroendocrino immunologica e metabolica e omeostasi grafica nei vari momenti della giornata, dell’anno, della vita

La metodologia di base parte dal presupposto che ogni scrittura è unica e riflette la storia personale del soggetto scrivente nella sua normalità e nelle sue patologie. La scrittura viene analizzata nelle sei componenti fondamentali (ritmo, organizzazione, maturità, energia, creatività e armonia) nei suoi rapporti tra forma, movimento e pressione, e nella sua simmetria e architettura, sintesi
dinamica tra ordine e caos, tra chiarezza e oscurità, tra struttura lineare e deformazione dei vari grafemi. Ci sono molti giudici che di fronte a una diagnosi di demenza clinica certificata (cioè in
cartella clinica è scritto che il paziente soffre di demenza con esami radiodiagnostici, clinici e questionari) affermano che la demenza c’è ma è lieve ed essendo lieve non ha incisività sulla
capacità di intendere e di volere che deve essere “assoluta”. La demenza anche lieve (se certificata) è demenza (in questo caso c’è incapacità assoluta di intendere e di volere), perché include una perdita di capacità decisionale a causa della distruzione delle connessioni neuroniche, e include dei momenti di blocco energetico a causa del mancato rapporto tra i vari lobi cerebrali. Se queste
situazioni si manifestano nel tracciato grafico la demenza anche lieve è demenza anche se…. consente nella fase “lieve” di camminare, di portare avanti delle abitudini, di non essere completamente dipendente ma non consente una pianificazione.
Il DSM 5 (ed. italiana 2014) non parla più di demenza ma di disturbo neurocognitivo (DNC) maggiore o lieve. Per l’Alzheimer che è la patologia degenerativa più frequente che porta a demenza, si parla di malattia probabile o possibile a seconda alcuni criteri diagnostici e il disturbo
neurocognitivo viene distinto in maggiore o lieve. In linea generale per il disturbo neurocognitivo maggiore devono essere compromessi (criterio A) almeno due domini (attenzione complessa,
funzione esecutiva, apprendimento e memoria, linguaggio, funzionepercettettivo-motoria o
cognizione sociale), basato sulla clinica che vi è stato un significativo declino delle funzioni cognitive e su test neuropsicologici standardizzati o in loro assenza da un’altra valutazione clinica
quantificata. Il criterio B comprende i deficit cognitivi che interferiscono con l’indipendenza nelle attività quotidiane; il criterio C specifica che i deficit cognitivi non si verificano esclusivamente
nel contesto di un delirium; il criterio D specifica che i defict cognitivi non sono meglio spiegati da un altro disturbo mentale (per es. disturbo depressivo maggiore, schizofrenia).
Nel disturbo neurocognitivo lieve sono presenti di nuovo i 4 criteri con questa differenza. Nel criterio “A” c’è l’evidenza di un modesto declino cognitivo in uno o più domini cognitivi; nel criterio “B”, i deficit cognitivi non interferiscono con l’indipendenza nelle attività quotidiane; nel criterio “C” i deficit cognitivi non si verificano nel contesto di un delirium; nel criterio “D” i deficit cognitivi non sono meglio spiegati da un altro disturbo mentale.Il DSM 5 dopo l’introduzione sul
disturbo neurocognitivo (DNC) maggiore e lieve inizia a parlare dei criteri diagnostici perl’Alzheimer, del DNC frontotemporale, a corpi di Lewy, vascolare, e poi quello dovuto a trauma cranico, al disturbo indotto da farmaci, a infezione da HIV, a malattie da prioni, al morbo di Parkinson, a malattia di Hntington, a un’altra condizione medica, a eziologie molteplici e infine a DNC senza specificazione. Mi voglkio soffermare solo un attimo (ma è mia intenzione ritornare su questo tema con maggiore approfondimento) ciò che il DSM 5 ( pag.709-710) afferma nel DNC
lieve dell’Alzhaimer.
Prendo l’Alzhaimer come esempio perché è la malattia statisticamente più diffusa che porta a demenza (cioè al DNC (Disturbo Neuro Cognitivo)
Per il disturbo neurocognivo lieve una possibile malattia di Alzheimer è diagnosticata se non vi è evidenza di una mutazione genetica causativa e tutti e tre i seguenti ( elementi) sono presenti:
- Chiara evidenza di declino della memoria e dell’apprendimento
- Declino costantemente progressivo e graduale nella cognizione, senza plateau estesi.
- Nessuna evidenza di eziologia mista (cioè assenza di altre malattie neurodegenerative o
cerebrovascolari, o di un’altra malattia neurologica, mentale o sistemica che possa contribuire al declino cognitivo
In conclusione il giudice non può fare il medico e fortunatamente il grafologo medico ha nel
tracciato l’evidenza scientifica del declino cognitivo maggiore o lieve. Il disturbo si presenta lieve e
il DSM – 5 lo specifica bene, soprattutto quando i deficit cognitivi non interferiscono con. l’indipendenza nelle attività quotidiane e nell’Alzheimer quando non ci sono altre patologie che
possono contribuire al declino cognitivo. Se abbiamo una diagnosi di Alzheimer in cartella non specificata secondo i criteri del DSM 5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), o
secondo i criteri del nuovo ICD 11 (The 11th Revision of the International Classification of Diseases (ICD-11) is due by 2018) siamo in una realtà soggettiva e purtroppo debbo dire di approsimazione clinica, soprattutto se il paziente affetto da una patologia cronico–degerativa, è
stato in clinica o in ospedale o in alternativa dal medico curante ( con visita neurologica, con TACRMN- PET e SPECT… e somministrazioni di alcune esami strumentali come il MMSE (MiniMental State Examination ) oppure il Neuropsychiatric Inventory (NPI), versione italiana, l’ADL
(activities of daily living- Attività della vita quotidiana) e alla scala IADL (Instrumental Activities of Dailiy Living) indice di dipendenza nelle attività strumentali della vita quotidiana.
Nei miei casi di grafopatologia giudiziaria, fin ad ora non ho trovato un caso clinico puro di DNC.
Nella totalità dei casi, era presente qualche altra patologia (diabete, ipertensione, cardiopatia, disturbo respiratorio, anemia, e spesso malattie cancerogene, ansia e depressione). D’altronde lo stesso DMS 5 a pag.711 (ed. it.) dice che “la complessità diagnostica è più elevata negli anziani a causa della maggiore probabilità di una malattia medica in comorbilità e di
patologia mista”. La durata media della malattia di Alzheimer è di circa 10 anni anche se alcuni individui possono convivere con la malattia circa 20 anni. Nel DNC lieve “le compromissioni
aumentano col passare del tempo e lo stato funzionale declina gradualmente fino a quando i sintomi raggiungono la soglia per la diagnosi di DNC maggiore”.
Un grafopatologo competente può dall’esame del tracciato grafico, dal percorso della malattia, dalla comorbidità, dal fatto che i deficit cognitivi interferiscono o non interferiscono con
l’indipendenza nelle attività quotidiano (perché se interferiscono – ricordo – siamo già in presenza di un DNC maggiore), dall’esame del cervello (TAC – RMN – PET ed eventualmnenbte SPECT),
dagli esami neuropsicologici e dalle visite specialistiche effettuate, capire la gravità della situazione clinica in quel momento preciso dello scritto da esaminare e date una risposta obiettiva al quesito
posto dal giudice o da una richiesta di parte o da uno studio commissionato da un legale o da un collega medico. Nel disturbo neurocognitivo vascolare maggiore e lieve a parte il fatto che devono essere soddisfatti i criteri per il DNC maggiore o lieve, le caratteristiche cliniche devono essere coerenti con una eziologia vascolare come suggerito sia da un esordio dei deficit cognitivi legati temporalmente a uno o due eventi cerebrovascolari, sia all’evidenza che il declino è prominente
nell’attenzione complessa ( tra cui la velocità di elaborazione) e nella funzione secutiva frontale. Ci sono evidenze delòla presenza di malattia cerebrovascolare dall’anamnesi, dall’esame fisico e/o dal
neuroimaging considerati sufficienti a spiegare i deficit neurocognitivi. Molti individui con DNC vascolare maggiore o lieve si presentano con infarti multipli, con un declino delle funzioni cognitive acuto graduale o fluttuante e intervengono periodi di stabilità e anche qualche
miglioramento. Altri possono presentare un esordio graduale con una progressione lenta, un rapido sviluppo dei deficit seguito da una relativa stabilità o un altro quadro clinico complesso.
Il triangolo demenziale
La salute al di la della definizione dell’OMS è capacità di adattamento, la malattia è disadattamento.
L’adattamento come salute si può raffigurare come equilibrio tra tre lati di un triangolo che sintetizza le tre dimensioni della personalità umana, come anche di una grafia considerata non
malata. Non a caso chi vive in salute ha una condizione di benessere fisico e psichico dovuta a uno stato di perfetta funzionalità dell’organismo. Questa “perfetta funzionalità” è dovito all’equlibrio tra le 3 unità che formano il nostro essere (mentale, biochimico , strutturale)

Dalla neurofisiologia …alla neuropatologia del gesto grafico
Un grafopatologo deve conoscere bene la neurofisiologia del gesto grafico, la normalità del
tracciato con le possibili variazioni dovute alla personalizzazione e alla costituzione
temperamentale e metabolica del soggetto, all’imprinting dei primi anni di vita con i suo traumi, le
vicissitudini e le difficoltà esistenziali. A mio parere deve conoscere anche la storia generzionale
della famiglia in cui è vissuto (eventuali malattie mentali, psicotiche e nevrotiche negli ascendenti
sia da parte materna che paterna). Tutti eventi che verranno incorporati nel tracciato grafico quando
raggiunge il pieno automatismo diventa unico e specifico per quel soggetto in quel determinato
momento della sua vita. Il grafopatologo studia il passato per capire il presente e dare così una
risposta oggettiva al giudice o all’indagine richiesta dallo studio grafologico. Non è automatico che
una persona malata abbia una scrittura disorganizzata, destrutturata e non ordinata. Tuttavia, se una
persona è malata, nel tracciato qualcosa appare, c’è ed è evidente. Mens sana in corpore sano (una
mente è sana in un corpo sano- frase tratta da un verso di Giovenale (Satire X, 356). Qui come esempio
estremo riporto la scrittura di un turista americano di 60 anni, malato di cancro che scrive un
biglietto al ladro che lo ha derubato a Venezia.

Il tracciato grafico è fondamentalmente “sano”, tuttavia in alcune parti è tentennante e titubante, qualche
tratto è tremolante, presenta degli scatti asimmetrici alla base della parola. E’ una scrittura slegata. Cosa deve
fare il grafopatologo per capire meglio il problema (se questo è presente!). Deve analizzare (se è possibile)
altre scritture del soggetto e verificare il ritmo, l’organizzazione, l’energia, la maturità (intesa come
personalizzazione grafica), la creatività e l’armonia per comprendere se c’è stata qualche variazione e se
questa variazione grafica dipende dalla patologia o dai farmaci o dalla radioterapia. Non dimentichiamo
che la scrittura nasce e muore nel cervello. In questo caso, dal tracciato grafico non si evince incapacità di
intendere e di volere.Tuttavia a causa di alcune anomalie c’è bisogno…è necessario studiare tutto il percorso
clinico ed esistenziale del soggetto scrivent
