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Dallo studio dei “Diari di Mussolini, veri o presunti”, a nuove idee nella perizia grafica, coerenti con i metodi “su base grafologica” (B.Vettorazzo) e il metodo grafonomico.

Videoconferenza (gratuita ed aperta a tutti) Sabato 8 maggio, ore 10,30-12,30. L’esigenza di avviare una sperimentazione sul tratto (ossia sulla forma).

Di Guido Angeloni, autore della grafica simbolizzata (©), socio fondatore e direttore scientifico* dell’AIDAS-DGS (presidente A.Vigliotti, medico, psicoterapeuta, grafologo)

*(Per la parte attinente alla grafica simbolizzata).

PREMESSA. LA POSSIBILE INSIDIA

“Nel Best Practice Manual per l’esame forense delle manoscritture” si legge: 

Il valore di qualsiasi carattere, come prova di identità o non identità, si unisce alla difficoltà  della comparazione, considerando la sua rarità, complessità, la velocità relativa e  naturalezza con cui è scritto, e il suo accordo o disaccordo con caratteristiche comparabili”.  

Il  Manuale detto nulla aggiunge, in quanto tutto lo si sapeva già. Non c’è bisogno di scomodare i capiscuola, lo stesso Bruno Vettorazzo (Metodologia della perizia grafica su base grafologica, Giuffrè Editore, Teoria e Pratica del Diritto*) insiste molto sul concetto di “naturalezza – spontaneità” dello scritto in esame. Del resto, i criteri suggeriti dal Manuale appartengono ai metodi “su base grafologica” e grafonomico (rispetto a quest’ultimo, specie nella parte che si riferisce al concetto di “rarità” della conformazione, in quanto vi corrisponde il contrassegno**). 

Eppure è proprio questo concetto (della “naturalezza – spontaneità”) che è in crisi, in quanto talora è fonte di errore, giacché è un concetto che l’esperto valuta su base intuitiva. Inoltre, è un concetto che – a volere essere rigorosi – non dovrebbe trovare posto in una perizia grafica, sebbene ciò sembri un assurdo. 

Il concetto, invece, del contrassegno, proprio del metodo grafonomico, è di primaria importanza, più ancora del concetto di “gesto fuggitivo”, del metodo grafologico (informo che sono un grafologo, in quanto alcuni lettori potrebbero non saperlo). Naturalmente, anche il concetto di contrassegno va riformulato, ma me ne occuperò nel prossimo post. 

Tutti i Consulenti che hanno analizzato i detti Diari si sono espressi per la non autografia, tuttavia, tranne il sottoscritto, tutti hanno visto nelle scritte dei diari (circa 1600 pagine) un grafismo di altissimo livello ritmico, e di forte personalizzazione del gesto, tanto è vero che è stato scritto*:

“Chi scrive il diario, pertanto, lo fa con i propri automatismi grafici… […] Il tipo di scrittura apparente è molto evoluta, consentendo di individuarvi una natura innanzitutto colta (ovvero abituata a scrivere molto e molto rapidamente, quasi tradendo un amore non comune per lo scrivere a mano) che scrive senza stare a riflettere troppo sui contenuti che si ‘versano’ sul foglio con sorprendente e creativa immediatezza”.

Invece, per il sottoscritto, i Diari sono stati realizzati con la tecnica dell’imitazione pedissequa (sul piano del moto, ad esempio, sono lentissimi, e ovviamente non sono affatto ritmici), per quanto ciò possa apparire inverosimile: tuttavia ne so dare la prova materiale (ossia su base strumentale). 

Il punto è che i Diari ci insegnano che tutto si può imitare nell’aspetto della geometria, in quanto anche il moto e il ritmo (che ebbero la mano che scrisse in nostra assenza) hanno una geometria (ossia, un disegno, o una iconografia, se lo si preferisce), basta sapere come si fa, sapendolo fare. Tutto è imitabile, tranne la forma: esattamente l’opposto di quanto sino a poco tempo fa sostenevo anche io.

Se si vuole, come si vuole, che la perizia grafica sia coerente con i metodi grafonomico (è applicato in tutto il mondo) e il metodo su base grafologica, allora non si scappa da qui: occorre chiedersi quale sia la forma del moto e del ritmo, mentre abbandonerei il concetto di “spontaneità”, che è equivoco (non è assolutamente detto che una grafia veloce sia anche “spontanea” e tanto meno è detto che sia autografa e/o propria – ossia abituale –  della persona che l’ha vergata, in quanto, volendolo, ognuno saprebbe accelerare il proprio grafismo, in uno scritto breve, come una firma, ad esempio).  

L’ESIGENZA DI UN METODO OGGETTIVO ED OBIETTIVO 

La manoscrittura, ossia l’oggetto, è un prodotto immobile, in quanto giace inerte su un foglio di carta: di conseguenza, un metodo che si fondi sulla valutazione del moto e del ritmo non è un fatto tecnico (semplificando, è un fatto “artistico”, secondo il caposcuola della grafologia francese, ma anche secondo Moretti, il caposcuola della grafologia italiana ). Non è, né può esserlo, affidabile, in quanto tutto dipende dalla sensibilità dell’occhio che osserva. Una sensibilità, peraltro, che è specifica, che è “addestrabile” sino ad un certo punto, in quanto alcune persone, benché magari studiose della grafologiche, non sono portate. 

Dunque, la valutazione del moto (se attuata su base intuitiva, perché poi preciserò) non è un fatto obiettivo. Non è nemmeno un fatto oggettivo, in quanto non è coerente con l’oggetto, il quale non è un inerte, almeno che non si voglia valutare la motricità grafica, ma allora se ne deve parlare con la medicina e bisogna vedere se lei concordi o meno. Ma si sarebbe in un altro campo disciplinare, per l’appunto.

IL PRESUPPOSTO SCIENTIFICO, INCONTESTABILE 

Ma allora quale è il presupposto che ci autorizza a studiare il moto ed i ritmi da un prodotto immobile?

Se si chiede, il grafologo e l’esperto della perizia, risponderanno: la grafia è un encefalogramma. Peccato, però che anche l’encefalogramma non si muove…, giace anche lui. Peccato, inoltre, che la perizia grafica non è nella medicina.

Allora quale è il presupposto? Ce lo insegna l’ingegneria meccanica (suppongo), in quanto negli incidenti stradali deve accertare dal tracciato di un pneumatico sull’asfalto la velocità e le traiettorie che ebbe il veicolo coinvolto. Eccolo, dunque, il presupposto scientifico: l’ingegneria ci insegna che è possibile valutare il moto osservando un tracciato grafico. E la perizia studia un tracciato.

Da considerare che si deve distinguere tra il “grafobiometrista” (l’esperto delle firme vergate su tablet) e il perito grafico tradizionale: nel primo caso chi valuta la velocità esecutiva è un software (mi risulta, però, che coloro che si dedicano a questa attività siano molto validi, fatto sta che si fondano su studi e sperimentazioni specifiche), nel secondo è il perito, il quale, però, non è interessato ai valori assoluti, ma è solamente interessato ai valori relativi, massimali.  

Dunque, riassumendo: la forma è l’insieme della geometria (i perimetri e i bianchi) e di tutte le caratteristiche qualitative di un grafismo, ivi compresi il moto e i ritmi. 

La forma la si studia sul tratto (il tracciato grafico dell’ingegnere prima detto). Lo si sa studiare. Ora si tratta di sperimentare. Per l’appunto, dopo il convegno dell’otto maggio, l’AIDAS-DGS avvierà più ricerche: chiunque ne sia interessato, può farsi sentire.  

Nb. La mia relazione sui diari è del 2015. Nella fig. 78 (e altrove) parlo di “identità di forma”, invece, avrei dovuto dire: “identità di geometria”. Ma la distinzione tra i due concetti l’ho capita solo negli ultimi tempi (già…). Se nel 2015 avessi compreso la distinzione detta, allora avrei potuto sostenere: la scrittura dei Diari è innaturalmente “lenta” e lo si dimostra con irrisoria facilità, a prescindere dall’esito dei confronti comparativi. Infatti… 

Grazie

• Da un collega, giustamente, prestigioso, in quanto è uno studioso ed è professionalmente molto valido. Da segnalare, che erriamo tutti (l’errore è umano) e che l’errore è vitale, in quanto insegna, come nel presente caso.

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